Sottotitolo: ci sono gruppi che quando suonano ti vien voglia di abbracciarli forte.
Il mio percorso da ascoltatore di musica è stato quantomeno tortuoso: c’è chi ancora oggi dice di me che sono un metallaro di merda, il che è non è del tutto sbagliato dato che i primi anni della mia indipendenza musicale sono stati dominati da roba appunto metal e culminati nel gruppo sostanzialmente più auto-masturbante al mondo e cioè i Dream Theater. Diventa una droga perché pensi solo a “Minchia ma come cazzo fa a fare quella roba col doppio pedale?” e quello che succede è che arrivi a perdere la roba fondamentale della musica, cioè il contatto fisico che questa può darti, che sia un appoggio, un abbraccio, uno schiaffo, una testata. Io i Dream Theater li veneravo, non li volevo abbracciare. Poi un amico mi fa ascoltare il post-hardcore degli ISIS e lì ho imparato, con grande fatica, a capire il senso del cantare urlato. Mi chiedevo: “Che senso ha? Boh, non urlassero sarebbe pure bello sto pezzo”. Insomma, troppo segoni sulla tecnica mi avevano reso cieco e l’empatia verso chi suonava era annebbiata tanto che ‘sti urloni mi sembravano un modo di allontanare l’ascoltatore, invece che suonare come una comunicazione diretta e senza filtri di un certo stato d’animo. Ad una certa però qualcosa è scattato e diciamo che da quel momento in poi il mio modo di ascoltare la musica è cambiato.
A leggere su wikipedia, i Gazebo Penguins sono un gruppo emocore e cioè che fa musica tosta e che spesso canta urlando in coro, tipo quando sei allo stadio (però intonato). Io li ho scoperti quando è uscito LEGNA e li ho subito sentiti vicini. Cioè, il disco musicalmente spaccava eh, aveva suoni da paura, ma ciò che ha da subito colto la mia attenzione è stata la loro attitudine, il loro modo di fare musica: mi hanno dato l’impressione di essere delle persone che suonano alla stessa altezza di chi li ascolta. Per loro stessa ammissione LEGNA è un insieme di pezzi (n.d.r. della madonna), più che un vero disco, cosa che invece RAUDO è, detto un po’ alla sarda. RAUDO è un percorso intimo e sincero, non è un disco difficile, non è un disco triste ma neppure felice. E se pensavo che certe note potessero stimolare solo chi ci naviga in questo tipo di musica, sono stato subito smentito, notando come un sacco di gente sull’internet, anche quella che di solito ascolta altro, sia rimasta rapita da “Finito il caffè” (il primo singolo uscito da RAUDO), tanto che addirittura un super pop-freak come dietnam rimane sconvolto dal fatto che pure “Casa dei miei” (il secondo singlolo uscito da RAUDO) “non mi fa schifo, aiuto cosa mi sta succedendo”. Da cosa sia stato dettato tutto questo hype? Forse dal fatto che RAUDO è sostanzialmente un disco rock con le palle, distorto, ma di facile lettura, un disco rock come non se ne sentivano da un po’ di tempo in italia. Un disco di quelli che canti in coro saltando come un deficiente, un disco vero in cui poterti ritrovare, pur non essendoci la benché minima volontà di imporre o insegnare nulla da parte degli autori. Insomma, i Gazebo Penguins raccontano cose che succedono un po’ a tutti e lo fanno guardandoti negli occhi.
Per il sottoscritto RAUDO sarà uno di quei dischi verità che non ho mai avuto da piccino perché ero impegnato a farmi i pipponi su Mike Portnoy.
RAUDO è in free download da oggi ed esce sotto, indovina un po’, quei gran fighi di To Lose La Track. RAUDO si scrive tutto in maiuscolo perché è una bomba, parola di metallaro.
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