Barcellona e tutta la sua cool factory ce la siamo lasciate alle spalle, e io sto ancora qui a scrivere delle tappe della Francia, in mega ritardo. Trovare wifi sono dolori.
Ad ogni modo QUI vi ho raccontato cosa può accadere durante un tour (qualsiasi) e nel caso specifico con gli Honeybirds, e io vorrei tanto mettermi qui a dirvi che in Francia è stato tutto baguette e joie de vivre che le cose sono state ganze e vivre l’amour, vivre la France (e per certi versi lo sono state)…
Mi sa per le amenità ne riparliamo fra qualche giorno.
Intanto le precedenti date in Italia hanno avuto la gratificazione immensa di aver conosciuto gente meravigliosa, sia a Orvieto che a Genova, che infine a Torino, e di essere stati ospitati in posti magnifici.
In calce i nomi.
12 ore di furgone, e da Genova migriamo verso Toulouse.
Benché stiamo tutti cercando di dimenticare nomi persone e città, a parte Hugo (poi vi dico), il centro sociale anarchico che ci aspettava si chiamava “L’Emergence”. Mai nome fu più appropriato.
Scesi dal furgone, ci vengono incontro una serie grossi, lunghi e gialli denti sorridenti, la cui distanza gli uni dagli altri di 3-4 cm buoni, incastonati molto debolmente su uno scavatissimo visto nero pece: Demas.
Squisitamente Demas, malgrado il peso approssimativo di 50 Kg per 1,80 di altezza, si offre di scaricare insieme gli strumenti, e trotterellando allegramente, ci fa strada nel locale.
Lo scenario che ci si para costringe me e Paola (p-birdie ndr) a una serie di risate isteriche irrefrenabili e ripetute a intervalli regolari per le seguenti ore a venire. Che poi per la cronaca, Paola è quella con cui ho legato di più all’interno del gruppo, non perché gli altri non siano meravigliosamente gentili, ma con lei l’empatia terronica ha avuto il sopravvento (è siciliana, io abruzzese), e inoltre una massiccia dose di demenza femminile ci accomuna entrambe, per cui siamo due sciocche liceali in gita e spariamo cazzate a gogò per la maggior parte del tempo. Ad ogni modo entriamo. Nero, vedo nero. Buio.
Il naso d’improvviso si ribella.
Tutto all’interno, dalla mobilia ai suppellettili emanava un fetore rivoltante. I muri stessi trasudavano una omogenea e stratificata misticanza di odori che ho potuto decifrare nelle ore a venire di: sudore raffermo, fumo di sigarette legali e non, muffa, fossa biologica e puzza di pelo di varie razze di cani bagnati. Alla nostra destra un approssimativo bancone del bar, composto da una tavola di compensato ridipinta di nero, sopra il quale capeggiava la testa di un manichino tagliata di netto sul lobo parietale, da cui fuoriusciva un intenso fluido, manco a dirlo, nero. A fare compagnia alla testa di manichino,sul bancone, dentro ex-vasetti di marmellata galleggiavano riproduzioni in plastica di specie di rettili, che nuotavano dentro fluidi che manco CSI. Il nero era d’altronde il colore predominante, per la buona parte dell’arredamento, inframezzato qua e là da sedie e divani divelti.
Per non offendere il senso comune dell’igiene, io vorrei interrompere la descrizione qui, ma il dovere di cronaca mi impone di continuare. Demas, gentilissimo (e qui lo dico senza ironia) ci mostra dove possiamo poggiare i nostri effetti personali, ovvero in camera sua, appena dietro il palco.
Avete presente “La chambre de Van Gogh à Arles”, il celebre quadro?”
Toglietegli il colore, le sedie, i quadri, lo strofinaccio a sinistra e la finestra.
Aggiungeteci in più tutta la misticanza di odori cui sopra, moltiplicate per 3, aggiungete 2 lenzuola nel letto che una volta erano bianche e ora sono giallo canarino (e non per un errore di lavaggio), et voilà, un quadro completo visivo e olfattivo della camera da letto di Demas.
Alla mia domanda: “Où l’on peut dormir ce soir?” a cui è seguita la risposta “Ici, où vous voulez!”, un brivido caldo-freddo è risalito su per la colonna vertebrale.
Le risate isteriche erano a quel punto senza freno.
Ma l’evento che ha scatenato tutta una serie di reazioni a catena è stato successivo: la cena ci è stata servita al piano di sopra, dove dei cani con le facce dipinte (si, avevano dipinto le facce dei loro cani, non ho avuto la forza di chiedere perchè) gironzolavano sotto il tavolo. Ma io amo i cani, anche dipinti, anche se hanno le zecche. E fin qui.
Ci è stata servita una abbondante porzione di pasta al sugo con porcini, e malgrado fossi cortesemente passata sopra l’igiene dei piatti e delle stoviglie, e all’odore permeante e nauseabondo in generale del locale come dei suoi frequentatori, quando alla prima forchettata un pelo di una non bene specificata parte corporale è venuto alla mia vista, il passo da alzarmi dal tavolo con un sorriso di cera e uscire fuori a cercare su internet un ostello per 4 ha richiesto circa 3 secondi e mezzo. Non sono schifiltosa, ma giuro di non essermi mai sentita tanto borghese fino a quel momento. Me ne dispiaccio pure, perché tutte le persone erano davvero gentili.
Però dai. Avreste fatto lo stesso pure voi.
Gli Honeybird fanno un concerto stupendo, visto che sono e si comportano in ogni occasione da professionisti, a prescindere da gente o locale.
I francesi ballano e si divertono, bevono ridono e tutto, e tra una cassa e un rullante Paola in labiale mi fa “Hai trovato da dormire, VERO??”
Si l’ho trovato, ho chiamato l’Italia, fatto ricerca su google, prenotato, ci aspettano.
A Demas diciamo che siamo ospiti da amici, magari si offende e non è bello, è davvero una splendida persona, igiene personale a parte.
Smontata lampo, il tomtom ci guida verso un ostello di Toulouse, in semiperiferia, ma all’ultim’ora, cosa vuoi. Entro e dietro la reception c’è il ragazzo con cui ho parlato per telefono: Hugo.
Gli spieghiamo la situazione e ci si pone un altro problema: abbiamo un furgone di due metri e dieci e non entra in nessun garage custodito delle vicinanze.
Federico (walkietalkiebird ndr) che guida il furgone, che di norma ha una pazienza da matusalemme, sta bestemmiando a denti stretti in aramaico.
Hugo ci dà la chiave elettronica del posto auto custodito dell’albergo, ci andiamo, ma aimè, non passa neanche da lì.
Torniamo in ostello.
Allora Hugo, pur di aiutarci e rischiando il posto di lavoro mi fa in inglese
“Io vado con i ragazzi in furgone a cercare un parcheggio, rimani tu dietro la reception”
Mi sono commossa.
Ci siamo tutti commossi.
Mezz’ora dopo tornano tutti, missione compiuta: Hugo ci ha fatto parcheggiare in un posto riservato a un altro, lasciando un biglietto col recapito telefonico dell’ostello. Un mito.
Alle due usciamo fuori dall’ostello per comprare una vera cena, birre e kebab, offerti anche a Hugo, ceniamo tutti assieme e l’asse Italia-Francia è cementificato.
Doccia e nanna.
Ho aggiunto Hugo su facebook, ogni tanto gli scrivo. Peccato sia troppo giovane.
A Livernon, il giorno dopo, la pioggia non dà tregua. Di quelle sottili e fitte, ma inesorabili.
Se avessero dovuto suonare al chiuso, questo particolare sarebbe stato superfluo.
Ma le Clan Destin, il posto dove eravamo quella sera, non era propriamente un classico club.
Il proprietario, Yves, è stato uno dei membri degli Enfance Rouge, storico gruppo italo-francese di «avant-rock», e ora vive nel sud della Francia e gestisce un… circo.
In soldoni, ha costruito un locale semi aperto nel mezzo della campagna, che come trave portante ha un sequoia secolare, sulla cui sommità poggia un tipico tendone rotondo da circo, a strisce bianche e rosse.
All’interno, la sequoia funge anche da perno dove attorno ruota il bancone del bar.
La metà posteriore del tendone copre tutto lo spazio interno, cosicchè il palco che è lì in fondo, viene interamente sigillato dall’esterno.
La parte anteriore, dov’è l’entrata, è aperta, ed essendo costruito il tutto sul terreno spoglio, con la pioggia costante della giornata, tutto intorno il tendone era un lago di fango.
Che ve lo dico a fare. Monta e smonta nel fango fino alle ginocchia.
Ma Yves e il suo aiutante, un attore anarchico di 60 anni, Claude, sono stati a dir poco stupendi.
Di una gentilezza d’altri tempi a dir poco disarmante.
In breve, nonostante il freddo da lupi e il terreno impervio, sono arrivate tantissime persone, e il concerto è stato davvero, davvero stupendo.
Calorosissimi 50enni, entusiasti 40enni, divertiti 30enni. Ogni fascia d’età ha goduto appieno del trasporto della musica, in una atmosfera familiare ed eterogenea, come in Italia non ho mai visto.
Il giorno dopo le nuvole grigie sono sparite, e abbiamo avuto la vera visione della bellezza del sud della Francia.
Una donna la sera prima mi ha detto che lì cielo francese ha un sole che quando splende, sembra piova amore. Aveva ragione. A Perpignan, il giorno dopo, dentro un club di vinili, L’Ubu, gestito da Lionel. Monique ha improvvisato con degli immigrati del Senegal, dentro il locale, in un misto di soul, rap, e gospel – con sottofondo dei Violent Femmes. Embè.
Ultima cosa degna di nota: dormivamo dentro un locale che un tempo era stato una stalla.
Davanti ogni letto c’era ancora la targa con il nome del cavallo che l’occupava con mangiatoia annessa. Io ero Mr.Lee.
Per il Primavera Sound, ne riparliamo fra qualche giorno.
Ps. Hugo, ti pensiamo sempre.
Pps. Grazie a tutti gli Italiani che si sono prodigati nelle date precedenti e che hanno messo a disposizione casa loro come fosse la nostra: Simone e Lorenzo del Magazzino delle Idee, Giorgio Carotenuto (How Beats Why), Rocco e Matteo del Museo Santa Croce, Federico e Mario e il “Cuoco” de El Barrio