Ve li ricordate i C+C=Maxigross? Ve ne parlammo per presentarvi il loro primo singolo e il video correlato. Dopodiché i cinque sono partiti per il tour e si sono resi conto di essere tremendamente telegenici e così hanno avuto la grande pensata: il Video Disco Raccontato! Non potevano naturalmente che trovare grande entusiasmo da parte di Shaq che del DISCORACCONTATO® è l’ideatore e che con le novità più divertenti ci va a nozze.
Perciò eccoli qua, tra una fetta di salame ed un pezzo di formaggio, che ci raccontano traccia per traccia la loro creatura. Poi, visto che ci tengono tanto, hanno anche pensato di scriverlo, aggiungendo piccoli dettagli che si erano dimenticati, forse per la fame.
Signore e Signori… BUON APPETITO con i C+C=Maxigross e il loro Ruvain!
Pamukkale in E
Prima canzone registrata per “Ruvain”, ancora nel novembre 2011. Da lì è partito tutto: dal registratore 8 tracce di Marco Fasolo (Jennifer Gentle). Dai suoni grossi e essenziali che ha tirato fuori con pochi strumenti. Cercavamo un suono alla “Harvest”, se non si era capito. La canzone è una piccola raccolta di pensieri e sensazioni agrodolci che vengono scaturite da cartoline e foto ingiallite. Registrata in presa diretta, la nostra prima presa diretta, c’ha fatto sentire un nuovo modo di fare musica.
Charleroi Poulet
Viaggi mentali e fisici. Belgio, patatine fritte due volte (olio e burro), birra, polletti e aeroporti. Uno dei pezzi più pop e pavimentosi (riferito ai Pavement) del disco, con finale barocco seicentesco.
Uno Tempo
Abbiamo fatto una canzone per suggerire all’ascoltatore uno stato mentalmente alterato da sostanze che non abbiamo mai provato: esperimento riuscito? Quello che ci piace tanto di questo brano è il sound: sembra un pezzo che pompa come se fosse elettronico (la batteria per esempio) e invece è totalmente analogico e umanamente suonato. La batteria appunto è stata suonata da Fasolo mettendo dei piatti rotti sopra i fusti, per poi comprimerla all’inverosimile.
Hills, Hills, Hills
Ci piacciono le montagne, ok. Ma anche le colline spaccano. Soprattutto se ci fai delle passeggiate che ti rendono assai più leggero e positivo. Il sound è il più sixties e Beach Boys che siamo riusciti a tirar fuori, con intermezzo fuzzoso grazie al Gibson Maestro Fuzz-Tone, il primo pedale distorsore della storia (1964), famoso per essere stato usato nel riff di “I Can’t Get No (Satisfaction)”.
A Freak Can
Pezzo vecchio vecchio, che nei live attacchiamo alla coda di “The Moka Efti Crazy Bar” (da “Singar”, primo ep del 2011). Il nostro tributo al continente africano (per le sonorità) e alla cultura cimbra (per il testo), antica popolazione di origine germanica che arrivò sulle nostre montagne nel medioevo. Il risultato è il più strano possibile, ma a suo modo organico. Come speravamo! Il testo dice “Diza nast i han ga-hóart ruvain in pach” che significa: “Questa notte ho sentito il progno far rumore”. Da qui il titolo dell’album!
Lesha!Keyoo!See-Ya!
Bislacco omaggio a Filippo Neviani nel titolo, affronta in realtà il tema del'”amicizia di convenienza” (cit. Brugnoli, the bassista). Sempre con sonorità esotiche, banji come fossero sitar, campanacci tolte dal collo di vacche, coroni e fuzzoni finali.
L’Attesa di Maicol
Il pezzo Italo Pop, come vuole la (nostra) tradizione. Anche in “Singar” avevamo incluso un brano in italiano. E questa volta il nostro Franz Ambro ha voluto parlarci del suo coinquilino Maicol, di una storia d’amore che è andata un po’ così. L’hanno definita degna di un “Gianni Morandi sotto acido” e per noi non ci può essere definizione migliore. L’assolo di organetto da chiesa è suonato dal compositore Zeno Baldi, che suona anche negli Ancher.
Ten Dark Wednesday
Dieci giorni da dimenticare, poi però dall’undicesimo arriva la voglia di andare avanti. Dalla malinconia alla speranza. Suoni folk bretoni, e un bellissimo testo scritto dall’amica giornalista Silvia Padrini. Con tanto di cinguettii e i rumori della vallata registrati in presa diretta: il banjo non si poteva registrare in salotto (la sala di ripresa) con tutti gli altri perciò abbiamo messo Mattia in balcone e l’abbiamo microfonato. State attenti anche alla fine del pezzo: si sente il clacson di un bel camion!
No One Calls Me (The Time of The Time of The Season)
Altro pezzo pop per cui un critico c’ha definito dei “baronetti montanari”. Adoriamo i baronetti, quei quattro là, è vero. L’aneddoto tecnico su questo brano è che la voce che sentite sussurrata è venuta fuori per caso: era la voce guida cantata piano piano per non rientrare nel microfono della chitarra acustica. Poi c’è piaciuta così, e abbiamo lavorato al pezzo su questa nuova idea! Tecnicismi a parte la canzoncina parla del non essere chiamato al telefono, forse perché hai cambiato operatore. Forse no. Boh. Fatto sta’ che live la dilatiamo un bel po’ e diventa molto Grateful Dead.
Najhladnija Luka Pule
Sempre suoni grossi e analogici. Pochissime tracce: basso, acustica, batteria, un pelo di banjo e poi le voci. Eppure suona un casino. Così facevano una volta, e ci sarà un motivo.
Titolo serbo tradotto dalla nostra fotografa ufficiale Ana Blagojevic e testo sempre un po’ malinconico, che parla di nonni ferrovieri croati e altri ricordi sbiaditi.
Josè
Canzone d’amore d’altri tempi. Un marinaio spagnolo, come i tanti che sono passati dalla Lessinia, e la sua storia finita sotto la tempesta. Per fortuna che aveva un ombrello. Con intro tratto da uno spezzone radio very very tropical vintage!
Holynaut
Uno dei nostri primi brani: parla di un tizio che rompe la sua astronave su Marte, e nonostante incontri Gesù proprio in quel momento non riceve nessuno aiuto dal maggico. Perciò si arrangia da solo, aggiusta tutto e torna a casa. Non pensavamo neanche di registrarla perché non la suonavamo da un anno. Eppure è venuta da dio (per l’appunto) quasi al primo colpo. Speriamo vi piaccia l’atmosfera ovattata dello spazio, se non ci siete mai stati.
Testi’s Baker/Jung Neil
Questa canzone durava pochi minuti e aveva solo un accenno di coda, poi è stato dilatato nei live a dismisura, cambiando di volta in volta, e ha preso la forma che ha sul disco proprio nelle session di registrazione. Era notte, avevamo trovato un set di suoni che ci piaceva (molto pop, quello di “Hills, Hills, Hills”) e abbiamo provato a riregistrare questo brano che avevamo già fatto qualche sera prima, ma non ci soddisfaceva molto. Allora abbiamo spento le luci, e mentre fuori iniziava ad albeggiare su tutta la vallata il pezzo è venuto fuori come lo sentite su disco. 10 minuti registrati alle 5 di mattina in stato di semi incoscienza.
Il testo parla della vita della famiglia di panettieri Testi, che lavorano vicino a un piccolo canale, e siccome tengono aperto tutte le notti noi ci passiamo spesso. Personaggi incredibili nella loro estrema normalità, che nasconde un qualche segreto.
Wait Me to Arrive
Volevamo chiudere il disco con un brano diversissimo dagli altri, e cosa poteva esserci di meglio che 3 minuti strumentali registrati con un solo microfono in mezzo al salotto e tutti attorno a suonare, imbevuti in un riverbero da chiesa?
L’idea iniziale era quella di registrarci sopra un coro sempre in linea con l’atmosfera sacra del pezzo, ma poi vedendo che funzionava così non abbiamo aggiunto nulla. È una specie di decompressione dopo il “rumoreggiare” e il caleidoscopio di suoni del disco. La canzone è una preghiera che chiede all’ascoltatore di aspettarlo alla fine del percorso. Ed è un po’ quello che chiediamo a tutti quelli che ci seguono e ascoltano la nostra musica!
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