Cominciamo col dire che questo Settle, uscito oggi, era/è uno dei dischi più attesi della stagione. Nel bene o nel male, per amarlo od odiarlo, per incensarlo o parlarne male, tutti o quasi tutti aspettavano questo disco dei fratelli Lawrence. Ora, prima di parlarvi dell’album devo fare una piccolissima osservazione personale: non si capisce il perché, ma pare non esistano più le mezze misure: c’è solo rosso o nero, ottimo o pessimo, dischi dell’anno e film dell’anno o dischi inutili con film inutili, eterna lotta tra hypsterismi o anti-hypsterismi.
Lungi da me l’idea di scrivere una recensione dai toni protodemocristiani, all’insegna del: “va bene sì, ma anche un pochino no”, va detto che questo disco dei Disclosure suscita tutta una serie di pensieri ed osservazioni ambivalenti e dicotomiche. Vive costantemente su di un dualismo, sospeso tra la bontà della produzione, la cura quasi maniacale dei suoni e la sensazione di aver già sentito quello che sta attraversando il vostro canale uditivo. Nel disco troverete una serie di tracce già conosciute, quattro─se non ho contato male─ed una serie di altri brani che vi suoneranno assolutamente familiari; questo perché i fratelli di Reigate sembrano cullarsi sul successo delle uscite precedenti e creano brani di assoluto impatto eppure così simili da confondere ad ogni ascolto.
Fuori discussione che questo disco sia buono per ogni occasione, lo potete ascoltare in auto mentre girate e fate i fighi con gli impianti a palla─se siete quel tipo di brutte persone, vi prego, lasciate perdere l’idea!; potete ascoltarlo mentre fate un bagno caldo con la vostra donna, cercando di far scattare “il sentimento” su F for You; oppure potete usarlo per la dancefloor più esigente, tipo i 18 anni di vostra cugina: Settle è un disco che funziona bene sempre, ovunque lo mettiate.
Certo, questo suo essere così pulito, senza una sbavatura, così perfetto, quasi plastificato è forse anche uno dei difetti che lo contraddistingue. Per la seconda volta cerco di argomentare in maniera corretta: non sono quel tipo di persona che critica un prodotto sviluppato esageratamente bene, ma il disco in questione sfiora a tratti la sensazione del gommoso, della produzione radiofonica forzata, che anche in questo caso non sempre è un problema. Qualcosa di negativo però dovrò pur trovarlo in un album che sembra non avere il minimo difetto, da qualsiasi punto lo si guardi. Ecco che quindi il ripetersi ossessivo di alcuni suoni a partire dalle bassline per arrivare a quelli scelti per la costruzioni delle drums sembrano essere studiati a tavolino, così uguali e così finemente curati da sembrare irreali.
Eppure capita che, per quanto si cerchino e provino a trovare difetti, anche se lievi, risulta difficile smettere di ascoltare questo Settle, impossibile non godere dell’ascolto ripetuto di brani riuscitissimi come When a Fire Starts to Burn, White Noise con il feat. degli Aluna George o evitare di emozionarsi ascoltando You & Me con il vocal di Eliza Doolittle (altro prodotto preconfezionato made in uk) a spadroneggiare su un brano dal sapore 2step/uk garage. Proprio i feat rappresentano, a nostro avviso, i momenti meglio riusciti del disco, riuscendo a portare nella seconda parte il lavoro su un livello più alto rispetto ai brani in cui i due fratellini si muovono in solitaria. Tracce come January con Jamie Woon, Confess to Me registrata insieme alla fida Jessie Ware ed Help Me Lose My Mind, dove trova spazio la calda voce di London Grammar (per inciso la miglior traccia del disco), racchiudono tutta l’essenza del sound dei Disclosure: melodia e danza, attitudine pop e cassa dritta, ma anche emozionalità e buon gusto.
Potremmo rimanere a discutere per ore sulla necessità dei Disclosure e di questo album nel 2013, del fatto che si potrebbe tranquillamente ascoltare un brano di Operator & Baffled, di Groove Chronicles o uno qualsiasi della Tuff Jam ed essere comunque felici. Faremmo però così un torto al talento dei fratelli Lawrence, che pur con il loro sound patinato e pieno di autocitazioni riescono a creare ogni volta dei singoli incredibili, talento che è ben superiore a quello dei propri coetanei. Insomma, ricordiamoci dove eravamo e cosa facevamo noi a 19 e 22 anni: quasi certamente, salvo casi di genio assoluto, non a creare hit planetarie, che, seppur ricalcando gli stilemi di un genere già affermato, stanno facendo tornare in auge le sonorità made in Uk di qualche decade fa.