Di (e con) Carlo Barbagallo abbiamo già parlato, più di un anno fa, in occasione della pubblicazione del primo volume di In the kennel (che nel frattempo è andato avanti, e anche bene─qui trovate la seconda uscita).
Quando lo scorso marzo è uscito il nuovo disco solista di questo artista (“Blue record“) ci siamo subito resi conto di avere sotto mano e nelle orecchie qualcosa di prezioso. 7 brani che sembrano unire una serie di tradizioni musicali e insieme le rimescolano, strizzano l’occhio al blues, fanno pensare ad atmosfere country, sconfinano nello psych-rock anni 60. In una parola: 7 esempi di sperimentazione che si fondono, tracciando una linea sinuosa, curva, che si perde nell’orizzonte.
Abbiamo fatto qualche domanda a Carlo; con l’occasione vi regaliamo anche lo streaming integrale di Blue record!
1. Scusa la banalità, ma ho davvero perso il conto: tra dischi, Ep e live sessions, Blue Record che numero di pubblicazione è? (inizia a farti impressione il numero di canzoni che hai scritto?)
“Ufficialmente” Blue Record è l’undicesima release (compresi ep e live); ma in realtà è dall’età di cinque anni che faccio dischi, sarà il centesimo. Fare dischi è una necessità come dormire o nutrirsi. .)
2. Rotto il ghiaccio, ci dici che disco è Blue Record? Cosa rappresenta per te? Arrivato a questo punto del tuo percorso artistico, è più la voglia di esplorare nuovi linguaggi o di proporne uno immediatamente riconoscibile?
Blue Record, nasce dalla mia frequentazione giornaliera del Blue Record Studio di Mondovì e dalla collaborazione con i musicisti e tecnici che gravitano attorno ad esso (Ettore Magliano, Frank Alloa, Manuel Volpe, etc.). E’ il mio primo disco solista quasi completamente realizzato in uno studio di registrazione (tutti i precedenti sono stati realizzati in casa) con la possibilità di sperimentare illimitatamente l’equipment lì presente.
Sinceramente alla base della mia scrittura c’è una grandissima percentuale di casualità e molto poco di premeditato quindi non ho interesse nel cercare di diventare consapevole di un qualsiasi sia traguardo artistico; mi lascio stupire e emozionare da ciò che viene fuori spontaneamente, cercando di riconoscermi esplorando.
3. Rispetto a Quarter Century, che in un certo senso è la “pietra miliare” del Barbagallo di ieri, mi sembra che tu abbia cercato un effetto meno lo-fi…c’entra il fatto di essere andato a registrare in Piemonte? O la scelta di andare a registrare in Piemonte deriva dal fatto di aver scritto delle canzoni che già nella tua testa avevano una struttura diversa?
Credo che le tracce di Blue Record siano impregnate del suono e delle atmosfere dello studio nel periodo in cui ha preso forma tra quelle pareti; per questo è ad esso dedicato. Sicuramente l’approccio a tutti gli aspetti della produzione è stato ben differente rispetto ai miei precedenti lavori, come dicevo, realizzati in casa cercando di portare all’estremo la poca e scadente attrezzatura disponibile. Ma lo spirito con cui le canzoni si sono evolute da spunti germinali è rimasto sempre quello di un esplorazione progressiva. Mentre Quarter Century è una sorta di compilation di collaborazioni con altri artisti, realizzate spesso virtualmente in spazi e tempi differenti e sostanziali, in Blue Record si è condiviso lo stesso spazio vitale contestualmente.
4. Sembra di avere a che fare con un disco più snello dei precedenti, viene persino da pensare che tu lo abbia asciugato nel percorso di produzione…poi si arriva a Rats & Mosquitos, una suite di più di 12 minuti e mezzo, quasi estraniante, esattamente a metà del viaggio (ma forse il viaggio è la canzone stessa, e quello che sta prima e dopo potrebbe essere partenza e mèta): è semplicemente frutto della tua naturale propensione alla sperimentazione o quel brano ha una sua propria funzione?
Blue Record è stato registrato nel corso del 2011. Molte altre canzoni sono state realizzate nello stesso periodo e non ne hanno preso parte perché incomplete o in qualche modo distanti dal percorso produttivo delle tracce invece che lo costituiscono. Ma la consapevolezza di ciò è arrivata, non facilmente, dopo un periodo abbastanza lungo, in cui altri percorsi sono stati intrapresi; nel Dicembre 2012 ho avuto modo di realizzare dove tracciare i confini. La chiusura di un disco è sempre, per me, il momento per sublimare e allo stesso tempo delimitare un ciclo di esperienze, un periodo della mia vita. Allo stesso modo Rats & Mosquitoes documenta un’esperienza: una notte al Bue Record, il rumore di un repellente ad ultrasuoni per topi e mosche, un looper & l’ampeg di Mano & la musicmaster, i coles & i josephson, una dx-7 & due batterie dentro un plate reverb, il Neve e un parete di echi a nastro. La track-list di Blue Record rispetta una volontà documentaria poiché i brani sono presentati nell’ordine cronologico in cui sono stati realizzati e se i dodici minuti di Rats… nel bel mezzo del “percorso” documentato possono avere la funzione di “passaggio” da dei metaforici prima e dopo, ciò è frutto della meravigliosità del caso o forse meglio un segno di una variazione delle dinamiche delle situazioni.
5. La petroliera, The Worst Problems, Le Tempestine, Les Dix-Huit Secondes, Albanopower – quelli conclusi; Suzanne Silver (since 1996, verrebbe da aggiungere), Loners, La Moncada, In the Kennel, CoMET (Collettivo Musica Elettroacustica Torino) e per l’appunto Barbagallo i progetti musicali ad oggi attivi… e in mezzo hai anche trovato il tempo di fondare la Noja Recordings. È come se tu avessi sparso in giro pezzettini di te, nascosti in ognuno di questi progetti, quasi si trattasse di un puzzle da ricomporre. Tu lo hai capito quale ruolo ti piace giocare nella produzione musicale? Ti senti più a tuo agio come producer, come chitarrista, come autore o come scopritore di talenti?
Banalmente, credo che qualsiasi esperienza, in un modo o nell’altro, lasci qualcosa di te e in te, e che i progetti artistici siano la conseguenza dell’intersecarsi di una rete di relazioni, anche extra-musicali e extra-personali, direi “ambientali”. Ho difficoltà o poco interesse a percepire o accettare i confini tra ruoli che credo siano solo necessari nel contingente per raggiungere degli obiettivi comuni o risolvere delle situazioni difficili o ancora per assicurarsi sicurezza; preferisco vederli come sfumature di un unicum. In breve, mi piace vivere giocando con la musica ma direi che più che stare a mio agio oscillo tra diversi gradi di tensione (in senso positivo), poiché non definirsi un ruolo ben definito può anche essere molto complicato e poco gestibile. Sono convinto, tuttavia, che in musica, e nell’arte in generale, la propensione all’utilizzo non convenzionale, inverso o laterale, di mezzi, processi o abitudini possa costituire spesso un valore aggiunto.
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