A tre anni di distanza dall’ uscita del suo primo album “If Life Gives You Lemons, Make Lemonade”, Stefano Miele a.k.a. Riva Starr dà alle stampe il suo album “Hand in Hand”, vero e proprio tour de force musicale all’interno del quale il dj/produttore si è circondato di una serie di collaboratori d’eccezione, da Horace Andy e Roots Manuva a Vinicio Caposella e Carmen Consoli. Collaborazioni non di comodo, come spesso succede, lo stesso Stefano lo ha tenuto a precisare con un certo orgoglio in questa nostra intervista:
-Quali sono state le tappe fondamentali per il raggiungimento del tuo successo internazionale?
Sarebbe facile rispondere: dal momento in cui mi sono spostato a Londra, però è un po troppo riduttivo perché significherebbe non rendere giustizia invece all’ esperienza formativa che ho fatto in Italia che è stata fondamentale e centrale. Io vengo da Napoli che è sempre stata una fucina di talenti ed un centro nevralgico per le influenze musicali e culturali di tutto il bacino del Mediterraneo, dall’Africa ai Balcani, Grecia, Nord Europa, Spagna. Tutto confluisce lí e c´è un sincretismo particolare. Anche lo stesso carattere dei napoletani -nel mischiare le varie influenze anche con ironia, senza prevenzioni di sorta, senza snobberia, senza razzismo anche musicale- quello mi ha aiutato tanto. In più sono sempre molto legato alla cultura inglese, non per esterofilia. Insomma io mi sono formato a Napoli e ne sono sono orgoglioso perché, quel tipo di formazione che ho avuto non l´avrei potuto avere all’estero. Da quel punto di vista il mio sound si è affermato anche abbastanza velocemente perché è distinguibile e riconoscibile e viene da questa mia cultura, ma business-wise il grande salto l´ho fatto spostandomi a Londra.
-Ti sembra che ci sia un certo snobbismo nei confronti dei dj e produttori italiani da parte dei britannici?
Lavorativamente parlando in UK si dà molto più spazio agli “indigeni”, ma questo comunque un po’ dappertutto. In momenti di recessione è anche normale. Ma c’è anche da dire che in Gran Bretagna se hai qualcosa da dire, te la fanno dire. C´è una sorta di nazionalismo musicale, ma io la vedo sempre come una sfida, una spinta a fare sempre di più. Comunque non credo che gli artisti italiani siano osteggiati, almeno non più. Ci sono tantissimi esempi, da Benny Benassi a Marco Carola passando per un produttore più crossover come me ed altri, abbiamo tutti una buona reputazione all’estero, c’è grande rispetto per la nostra differenza e freschezza di stile.
-Mi ha sempre molto intrigato l’ecletticità del tuo sound, soprattutto nella tua fase che potremmo definire “Balkan”. Ad esempio nella tua collaborazione con i Nose in “I Was Drunk”:
Per la mia tesi di laurea, nel 2005, ho prodotto un CD intitolato “Glocalist Vol 1”. Io ed un mio amico andammo in giro con uno studio mobile per il Sud d´Italia registrando dei tradizionali dai cantori del luogo. Per dirti che sono un amante della musica tradizionale del mondo. Con la musica balcanica ci ho dialogato tantissimo anche perché conoscevo molti dj e band come Shantel ed i Dunkelbunt. “I Was Drunk” è nato un po per case e per divertimento, però poi da lì è nato tutto un filone. Perù io già come Stefano Miele avevo prodotto remixes di musica balcanica propriamente detta, culturalmente ci sto molto dentro. C´era in programma di farne un album però poi mi sono fermato perché mi sono sentito troppo imprigionato in quel genere, però è una mia passione da tempo immemore e probabilmente succederà qualcosa in futuro, perché ciclicamente mi ritornano le passioni, è una musica che sento molto.
-Parlando del tuo nuovo album “Hand in Hand” mi sembra che questa volta tu abbia lasciato il posto a quella che immagino sia un’altra delle tue grandi passioni musicali, ovvero il Reggae. Lo dimostrano le tue collaborazioni con Roots Manuva, Horace Andy e Bob Andy:
Quando ho cominciato a fare il dj a Napoli nella metà degli anni 90, facevamo dei club di 3.000 dove suonavamo di tutto. Dall´Hip-Hop al Rock al Reggae, io mi formo lì. Quest´album è nato in due anni, il che significa che non c’è stato un cambio repentino ma un evoluzione anche perché volevo fare un album diverso e non solo di tracce. Si è trattato di un percorso che mi ha riportato alla mie origini. Volevo inoltre realizzare un album solido, dove potessi raccontare delle cose con delle canzoni. Anche grazie all’ incontro con RSSLL che è stato il collaboratore principale anche dal punto di vista delle liriche, ho bisogno di sentirle molto. Quest´album è Pop ma sono orgoglioso di dirlo perché è un tipo di Pop che mi piace. Le liriche e le collaborazioni sono di un certo valore.
-In quali circostanze sono nate queste, e le altre collaborazioni dell´album?
Non ci sono state regole fisse. Alcuni li ho dovuti inseguire per due anni, come Horace Andy e Roots Manuva, sono due personaggi che notoriamente non si prestano a tante collaborazioni. Quindi mi sento anche orgoglioso di esssere riuscito a coinvolgerli musicalmente. Non è mai stato un approccio di tipo monetario ma musicale, perché credo che le collaborazioni forzate non funzionino. Volevo che questo album fosse vero, pur nella sua ecletticitá, perché è quello che dà il senso di completezza.
La traccia con Vinicio Capossela è nata per caso. Avevo prodotto un bootleg, ogni tanto ne faccio per avere delle esclusive. L´ho mandato ad alcuni dj grossi tipo Seth Troxler ed hanno cominciato a suonarlo, la gente lo richiedeva. Si è creata questa hype intorno a questo bootleg misterioso. Io avevo già dei contatti con Capossela perché voleva che io producessi il suo brano “Un uomo nuovo” ma per motivi di tempo non ci siamo mai riusciti. Questa volta siamo riusciti ad ufficializzare la nostra collaborazione che si inserisce perfettamente nel sound dell´album.
Invece la collaborazione con Carmen Consoli è partita da una traccia strumentale composta con i Cantango molto bella ed evocativa, ed ho pensato subito a lei, a volte ho delle basi ed ho la visione di chi la deve cantare. Gliela spedii, ci mettemmo in contatto, abbiamo fatto una lunga chiacchierata telefonica e ci siamo capiti subito, lei è una persona squisita. In un paio di settimane mi ha mandato il cantato, molto bello. La cosa simpatica è che quando produco delle basi metto dei titoli a caso, ed in questo caso misi il titolo “No Mans Land”. Lei ha preso ispirazione da questo titolo e ci ha scritto un testo in italiano.
La collaborazione con Bob Andy è nata, come nel caso di Vinicio Capossela, da un mio bootleg di una brano suo con Marcia Griffith, a lui è piaciuta tanto ed ha chiesto espressamente di venire incluso come featuring in questo album, lui è una leggenda del Reggae e sono stato contentissimo. Infatti David Rodigan è uno dei maggiori sostenitori di questa traccia e la sta suonando da Ottobre.
Anche Speech Debelle è una artista con cui stavo in contatto giá da un po e siamo riusciti anche abbastanza velocemente a realizzare un brano che secondo me è molto evocativo.
-Come è nata la tua collaborazione con RSSLL?
Lui è l´elemento principale dell´album. Faceva parte di una band chiamata The Reserch, condividevamo lo stesso manager e lui ci ha messo in contatto e mi sono innamorato del suo stile. Abbiamo cominciato che dovevamo comporre due o tre tracce insieme ed abbiamo finito per farne sette-otto. Tra l´altro lui ha suonato anche la chitarra ed ha arrangiato “Columbine Sept Heuers”, un tributo al Rock-Funk.
Tutto quello che ti ho raccontato è successo in due anni di “passione”. È come un parto riuscire a fare un album che si possa definire tale. Non só se ci sono riuscito con questo, ma decisamente mi ci sono avvicinato di piú rispetto al primo che era una raccolta di tracce da club che non aveva senso rifare. Preferisco realizzare dei singoli sulla mia etichetta Snatch di tanto in tanto. Per questo album volevo fare una cosa musicale, ho lavorato con tanti musicisti ed è stata una bella esperienza.