I Daft Punk quest’anno non vinceranno il premio di disco dell’anno, ma quello per il marketing è di sicuro alla loro portata: hype caricato abbestia, mille piccoli teaser, decine di video-spiegazioni di quale fosse l’intento del disco, addirittura apparizioni ascetiche durante il Gran Premio di F1 di Montecarlo. Si parla di un sacco di soldi, ovviamente, per guadagnarne esponenzialmente di più. Poi arrivano i FBYC che zitti zitti il 6 giugno scrivono un post su facebook dicendo “Oi raga come va? Qui c’è il nostro nuovo album in free download, speriamo vi piaccia”. Pare chiaro che i Daft Punk finiranno l’anno con zeru tituli.
Poi aspetti che il cerchiolino di Chrome abbia completato il giro, poi lo piazzi su iTunes, finalmente clicchi play e un po’ vieni spiazzato. Il disco parte lento e triste, e prosegue così fino alla fine. “Come fare a non tornare” è il disco più diretto, breve e lento dei FBYC, probabilmente il più cupo, non c’è rabbia, più che altro rassegnazione. Il disco più raccontato, il più cantautorale. Il fatto che sia così monolitico contribuisce alla sua particolare identità all’interno della discografia del gruppo; per dire, un pezzo di “Ormai” può sostituire uno di “Sfortuna” e viceversa, un pezzo di “Come fare a non tornare” può essere solo un pezzo di “Come fare a non tornare”. L’album è post-rock in senso classico e con una forte influenza cupa tipica della new wave (un recente esempio tutto italiano è quel gran disco che è Settimana degli HAVAH), non ci sono quasi più le strutture math, viaggia tutto più in linea retta, ecco. I riff sono quasi sempre in loop, cadenzati come una sorta di marcia, un po’ mi hanno ricordato gli GY!BE, gli Envy e le strutture dell’ultimo dei Raein (soprattutto in “Il pranzo che verrà”). Così ad un primo ascolto credo i fanz accaniti possano rimanere un po’ delusi, perché i FBYC ci hanno abituato ad urlare, ad essere disperati con il volume a +98, mentre ora no, anche Jacopo non urla, più che altro si racconta a voce alta. Mi immagino che anche l’esperienza ai concerti sarà diversa, più contemplativa, anche se comunque fortemente empatica.
So che sembra assurdo, ma questo disco potrebbe diventare il mio disco preferito dei FBYC soprattutto perché hanno scelto una copertina in coordinato con i colori di DLSO, ma anche perché dal primo ascolto, dal modo in cui è suonato, diretto, senza fronzoli, sembra chiaro come questo disco sia stato un’esigenza, per il gruppo. Poi nel comunicato stampa leggi che si sono trovati a cena e hanno detto –“Allora, dai, facciamo un disco. Ma ce la facciamo in tre mesi? Dai sì”─e scopri che tutto e iniziato e finito da zero in praticamente tre mesi e capisci che quelle sensazioni erano esatte. Mi piace che un gruppo di musicisti, di amici, si rapporti con quello che produce in quanto esigenza piuttosto che principalmente in quanto business dettato da scadenze e regole di marketing. Si sente che il disco non è stato chiesto da nessuno ed interamente voluto da chi il disco lo ha prodotto. Fare le cose prima per se stessi e poi, magari, pure per gli altri. “Come fare a non tornare” esce in vinile per Legno e in cd per La Tempesta.
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