Quando i Crash of Rhinos uscirono con Distal su Triste Records (RIP), il loro debutto, mi sorpresero a tal punto che a fine anno lo elessi miglior album del 2011. Ora capite bene che l’attesa per questo disco era notevole, ma che dico notevole, GIGANTESCA. I Crash of Rhinos sono una band math-post-rock che ruota attorno all’orbita del recente revival emo e sono di Derby, che si trova in Inghilterra poco sotto Manchester. La loro provenienza è centrale per descrivere le loro caratteristiche: ascoltandoli sentiamo di sicuro la tipica malinconia midwest-emo, ma quando tutto esplode ci ritroviamo circondati dai legni di un vecchio pub ad urlare sul bancone abbracciati con i nostri migliori amici, con una birra in una mano e una pure nell’altra. Se vi capita di vederli dal vivo lo noterete ancora meglio, subito dopo esservi resi conto che siete davanti ad una delle migliori band live che abbiate mai visto. Seriamente, dal vivo i CoR sono una cosa pazzesca, non hanno da invidiare nulla a nessun gruppo che sia indie o mainstream, che sia metal che sia rock che sia quello che cazzo volete. Fate conto di avere davanti a voi due chitarre, due bassi (sì, hanno due bassi), una batteria (per non dire un MOSTRO) e cinque voci che conciliano alla perfezione potenza e passione con tecnica e precisione. Knots è una BOMBA ed è un disco più maturo del precedente; Distal è più grezzo, meno raffinato di quello che si sente in Knots. La cosa comunque incredibile, che è il vero valore aggiunto dei CoR, è che pur facendo le cose in maniera forse più ragionata e con le idee più chiare rispetto al debutto, questi cinque rinoceronti non riescono a non suonare con la passione. Non riescono a controllarsi troppo, cioè non ce la fanno proprio; anche nei momenti più tecnici nulla viene suonato in maniera egoista, tutti completano tutti.
“Luck Has a Name” è forse il brano più giusto per iniziare l’album perché non si discosta molto dai pezzi migliori di Distal; c’è l’inizio a bomba, le chitarre che si intrecciano con i bassi con una naturalezza im-ba-raz-zan-te, i breakdown e un finale in crescendo dominato nella parte iniziale da un drumming non troppo complesso ma perfetto che poi finisce con le voci in coro che mi fanno esclamare cose del tipo: “cristo santo ma cioè questi sono tipo degli emo-Beatles”. Questa cosa delle voci corali, è un elemento non difficile da trovare nei gruppi emo, anzi, ma è spesso poco curato; cori di voci sguaiate, più che cantate. I Crash of Rhinos invece cantano tutti e cinque e cantano BENE, regalandoci intrecci di voci che si completano, come ad emulare il lavoro fatto con gli strumenti. Ce ne si accorge molto bene anche all’inizio di “Opener” che è un’altra bomba a mano, dove io non riesco a non percepire una a sorta di matrice scozzese: il riff portante, che alla fine della canzone mi sembra proprio una cazzo di cornamusa: cristo, che figata. Arriviamo a “Sum of All Parts”, dove avviene una specie di “rottura” all’interno dell’album. Questo è il primo pezzo che sembra davvero un’evoluzione rispetto a Distal, parlo del riff centrale direi quasi stoner e subito dopo di quel delay della chitarra che mi sembra di sentire “Planet Telex” dei Radiohead: cristo, che figata. “Impasses”, almeno nella prima strofa, sembra un pezzo emo/pop e il gioco di voci, insieme alle chitarre arpeggiate e al tappeto ritmico ricordano uno di quei pezzi tristoni dei Blink-182 (ehi, io adoro i vecchi Blink) solo cantato meglio, suonato meglio, tutto meglio: vabbè, avete capito. In “Standard & Practice” ci fanno capire come non abbiano assolutamente intenzione di lasciare perdere il loro lato più tecnico e alla fine dell’album ti rendi conto che i Crash of Rhinos hanno preso quello che hanno fatto in Distal e l’hanno reso più accessibile, mescolando meglio gli ingredienti, senza perdere l’originalità che li contraddistingue, anzi, accentuandola. L’album si conclude con un pezzo all’altezza del primo e questo conferma che non c’è un momento basso in questo disco, pur essendo composto da brani lunghi, a parte un paio di episodi che fungono più che altro da interludi, che fanno salire il conto a 53 minuti di viaggio tra sorrisi, piangeroni, urla, e godimenti. Un disco non più rivolto ad un pubblico di nicchia, un disco che può davvero fare il BOTTO che si meriterebbe. Qualche tempo fa avevo scritto che il mio disco dell’anno sarebbe stato quello dei TWIABPAIANLATD, beh ecco, non ne sono più così sicuro.
Se ti piace la musica e hai un po’ di c(u)ore, non puoi non renderti conto di essere davanti alla più grande band inglese degli ultimi anni.
Knots esce il 22 di luglio in Italia per indovina-un-po’ To Lose la Track, in UK per Big Scary Monster e in America per Topshelf Records che si è accorta del valore di questi cinque fenomeni (e ci voleva tanto, mi vien da dire).