Dei Black Casino And The Ghost vi raccontammo la storia quasi due anni fa. Due ragazzi (Elisa&Ariel) che da Roma si trasferiscono a Londra per inseguire un sogno, e che dopo qualche esperimento fondano una band e trovano la quadratura del cerchio grazie a Gary&Paul.
Torniamo a parlarvi di loro per festeggiare la pubblicazione del primo disco della band: il 2 settembre è infatti uscito “Some dogs think their name is No“, primo full lenght dei BCATG (per la Lucky Machete Records).
Un disco (in cui trova spazio anche un cameo di Fabio Rondanini dei Calibro35) che ci ha conquistato dal primo ascolto: al di là della splendida voce di Elisa Zoot, quello che colpisce è la capacità di affondare le radici in una tradizione blues-rock senza mai farsi risucchiare dalle sabbie mobili del “disco di genere”. Il risultato è un suono moderno e 11 canzoni in cui ognuno di noi può trovare riferimenti a certo cantautorato indie anglofono (vi sfido a non pensare a una Tory Amos o persino a Kate Bush, giusto per fare due nomi piuttosto evocativi, mentre ascoltate un pezzo come Son of the dust), al britrock anni ’90 (il batterista, Paul, è pur sempre un membro dei Kula Shaker!) e volendo a certa psichedelia (gli indizi in questo caso sono disseminati pressoché ovunque). Da segnalare, oltre alle trascinanti Boogeyman, Wolf is howling e Hobocombo, anche Connect the dots, una sorta di filastrocca/divertissement che esplode grazie alle percussioni e ad un organo western (ce la siamo immaginata come colonna sonora di un film dei Monty Python, chissà perché).
Insomma: il disco dei Black Casino And The Ghost ci piace, e molto.
Vi consigliamo di tenere d’occhio questa band; per darvi qualche altro buon motivo per farlo, oltre allo streaming abbiamo deciso di ospitare anche il discoraccontato (grazie ai ragazzi per il regalo). Buon ascolto&lettura!
1. BOOGEYMAN: Questo pezzo è nato una sera in studio, improvvisando (Elisa e Ariel) con chitarra e organo sul giro di basso principale che ha dato il via a tutto.
Ariel ha canticchiato quasi tra sé e sé, quasi fosse una filastrocca: “And here comes the boogeyman, the boogeyman comes for me” al che Zoot lo ha guardato e ha risposto “Here comes the boogeyman, he’s gonna take me in my sleep” Da lì in poi il resto si è rivelato da solo, successivamente con l’aggiunta di un nuovo groove di Paul e Gary è diventato uno dei nostri pezzi preferiti da suonare live, infine la traccia di apertura del nostro disco. Un po’ horror, un po’ osé, sicuramente un blues poco serio.
2. JOHNNY BOY: Johnny Boy è stata in un certo senso ispirata da “Chief” Bromden di “One Flew Over the Cuckoo’s Nest”. Parla dello scemo del villaggio, dell’isolamento in cui si può ritrovare chi è per sua natura diverso e incompreso. E spaventoso. Johnny Boy fa paura a chi non riesce a vedere sotto la superficie: “Johnny Boy, everyone thinks that you’re the Devil’s son” ma nasconde un animo gentile. Sull’intro del pezzo, subito prima che entri il piano, si può sentire Echo il cane che canta (con un po’ di Space Echo!)
3. BALLAD OF THE GHOST: Ballad of the Ghost è nata una notte di Dicembre in una stanzetta piccola e freddissima che era la mia (Zoot) casa a Londra per un periodo. Avevo un Nord Electro, un SM57 e un laptop e ho iniziato a improvvisare registrando per fermare le idee. Quando la mente si è appoggiata sul mio rapporto con la religione questa canzone è uscita di getto, dallo stomaco. E la maggior parte delle parti (piano, voci) è rimasta invariata dal momento in cui è stata improvvisata.
4. WOLF IS HOWLING: Questo per me (Zoot) è uno dei pezzi più importanti del disco. Anche questo nato voce e piano, dipinge le emozioni le debolezze e l’ispirazione creativa come un lupo ferito e bisognoso di aiuto, seviziato da crudeli cavi nel cervello (doppia ispirazione da “The Plague Dogs” di Richard Adams e dai Pink Floyd con la loro “if”) Bisogna correre veloce perché il lupo non perisca prima di essere raggiunto, saltare le pietre sul ruscello tutte di un fiato senza pensarci troppo e seguire l’eco del suo ululare per addormentarsi al suo fianco.
5. BEEN A BAD WOMAN: Giro di basso inspirato da una canzone dei Morphine, e un giro di elettrica slide che si intromette, all’inizio nato con un’acustica sporcata.
Sviluppato molto insieme a tutto il gruppo in sala prove e dal vivo. uno dei pezzi più scarni e suonato in una take sola nel ultimo dei nostri 2 giorni a Fish Factory . Solo il coro da rituale Voodoo sul ritornello è registrato successivamente in overdub.
Il testo allude all’incapacità di indirizzare la rabbia verso altri da sé.
6. SON OF THE DUST: Nonostante il povero, bravo e benintenzionato contadino faccia tutto per seguire e accontentare il suo Signore onnipotente, tutto gli va male, a rotoli. In teoria tiene la testa bassa e si comporta da bravo cristiano, ma rimane un miserabile perché la sua richieste semplicemente non sono ascoltate da nessuno, e la sua speranza di una vita dopo la morte, una vita migliore, è tristemente vana. Tra le dita non ha che sabbia. E Dubbio.
Il titolo iniziale, che è poi stato cambiato in un secondo momento, era in spagnolo: “Trabajando en el campo”. La canzone è ispirata a una canzone folk argentina che parla della schiavitù. In questo pezzo si può ascoltare una piccola apparizione come guest del nostro caro amico Fabio Rondanini (Calibro 35) alla batteria e percussioni.
7. HOBOLAND: Uno dei primi pezzi dove viene provato il nuovo slide cigar box di Ariel. Sempre divertente da suonare live. Paul è accompagnato da parecchie percussioni registrate in overdub. Elisa si diverte ad urlare. Ispirato ai momenti di attesa e apatia, in cui si tende a fumare troppo e auto-consumarsi. Hoboland, la terra promessa invocata nella seconda strofa, è il posto in cui non si desidera e non si soffre.
8. IF IT DOESN’T HURT: Se non fa male vuol dire che non funziona. Ispirata da persone a me (Ariel) molto care che si stavano per separare. Il rito del caffè mattutino rappresenta tutta l’intimità e e la dolce quotidianità. Impressioni dall’infanzia che si mescolano con gli stessi problemi visti una seconda volta da uomo. Giro di chitarra principale nato in pezzi in qualche mese e poi tutto il resto, testo e melodia, venute insieme di getto in una notte.
9. CONNECT THE DOTS: Dedicato a chi parla troppo, a chi usa toni paternalistici e a chi pensa di poter raggirare gli altri e non sa di essere completamente scoperto. Le percussioni sono tutti attrezzi da cucina.
10. WE’VE SEEN NOTHING: “minchia non ho visto niente!” L’omertà di un Godfather sotto acido a Londra… Unico pezzo strumentale del disco.
11. I LIKE YOU CAUSE YOUR FREE: Il pezzo di chiusura dell’album, è stato scritto dopo un viaggio all’estero e un concerto molto importante che mi (Zoot) ha fatto paura. “Sarò all’altezza della situazione?” Il testo descrive il modo in cui (tra Facebook, Twitter etc etc) tendiamo a dipingere le nostre vite nascondendo le nostre insicurezze e paure, insieme a tutto ciò che in realtà ci rende davvero chi siamo: “all we are is what we choose to ride from each other, tell me how you really feel or don’t even bother talking”. Io (Ariel) ho solo aggiunto l’idea della Beatelsata finale. Elisa ha registrato tutta la prima parte della voce di getto, poi abbiamo provato a ri-registrare le voci per il pezzo terminato ma la prima take era quella che trasmetteva di più il feeling originale. Per cui è rimasta lei.
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