Secondo Wikipedia Permanent Signal significa: “a condition in which a phone line is off-hook without connection for an extended period of time.” E questo è anche il termine che Mauro Remiddi ha scelto per intitolare il suo secondo album sotto lo pseudonimo di Porcelain Raft. Parlando a proposito del seguito del suo debutto “Strange Weekend” Mauro ha ricordato: “Crescere in Italia, vivere per dodici anni a Londra e poi per due anni e mezzo a New York mi ha fatto capire che ho degli amici che mi sono molto cari ma che purtroppo vedo raramente. Sono stato in tour quasi ininterrottamente per otto mesi ed ho cominciato a fare conversazioni immaginarie con persone con le quali avrei voluto comunicare ma per una ragione o per l´altra non potevo raggiungere. È da qui viene il titolo dell´album: l´idea di un segnale che ti comunica che la linea è interrotta”. Dell´album, inciso con l´aiuto di Jonny Rogoff degli Yuck alla batteria, Darby Cicci –bassista degli Antlers- e del cellista Gaspar Claus, Mauro ci ha raccontato poi ulteriori retroscena. E dopo aver letto questa intervista a voi il piacere di scoprire, se non lo avete ancora fatto, questo gioiello musicale:
Il tuo primo album “Strange Weekend“ ha avuto, soprattutto dal punto di vista della critica musicale, un buon successo. Era qualcosa che ti aspettavi o su cui perlomeno ci speravi?
Avevo un grande entusiasmo per il mio primo album, le canzoni e il modo in cui l’ho registrato… e questo è stato sufficiente a non pormi molte domande.
Come ti sei vissuto il periodo immediatamente successivo alla sua uscita fino all’inizio della lavorazione a “Permanent Signal”?
È stato un periodo che è sembrato un’ eternità al dire il vero. Il tour è durato molto e ho suonato di spalla a molte band che stimo. Quindi sono stato senza comporre per quasi un anno perché ero on the road. Per me un periodo interminabile. Appena sono tornato a New York è stato normale cominciare a comporre da subito.
La canzone “Backwords” è stata reinterpretata, secondo me molto bene, da Oupa e Tony Crow. Eri a conoscenza dell’uscita di quel singolo. Quale è stata la tua reazione?
Daniel è un mio amico e un giorno mi ha chiamato chiedendomi il testo di “Backwords”, credevo per suonarla a casa ed invece mi ha fatto proprio una bella sorpresa.
Abbiamo suonato a Nashville insieme, durante il soundcheck ha fatto andare la registrazione della sua versione registrata con Tony Crow e non ci potevo credere… molto molto bella.
Nel passato anche tu hai registrato cover versions, ho trovato da qualche parte una tua “Come As You Are” ad esempio. Se tu dovessi reinterpretare qualcosa oggi cosa sceglieresti?
Prima di partire in tour ho organizzato una session tra amici, Darby, Liam Finn e altri musicisti di Brooklyn. Qualche bottiglia di vino, un piano, un microfono e ho registrato un paio di cover sing-a-long. Le farò uscire presto… ci sono un paio di sorprese divertenti.
Tornando a “Backwords”. Il testo in qualche maniera riflette i temi che hai più estesamente trattato, quasi si trattasse di un filo rosso, in “Permanent Signal”. Intendo la lontananza delle persone care, la mancanza di coloro ai quali si è voluto bene. Ce ne puoi parlare?
Ma sai, non è che decido a priori di cosa parlerà l’album, di quali emozioni esprimere e così via. Registro le cose che sono “on top of my head”. Poi dopo, osservandole, riesco ad organizzarle e raccoglierle sotto un concept e racchiuderle in un album o un EP. Diciamo che il materiale che produci ti chiede delle cose specifiche e se sei attento tutto prende la forma che gli appartiene. Lo so, sembra un concetto molto astratto, ma invece è qualcosa di molto pratico.
Il suono di “Permanent Signal” è piuttosto diverso da quello del precedente “Strange Weekend”. Mi chiedo quanto il tuo primo album dal punto di vista sonoro sia frutto delle circostanze nelle quali lo hai suonato e prodotto ed invece quanto sia stato dettato da una scelta estetica precisa.
Sicuramente il mondo che ho creato con “Strange Weekend” era un mondo che conoscevo bene, i miei strumenti, la stanza invece di uno studio. Ho iniziato il progetto con quegli elementi.
Con “Permanent Signal” ho deciso di non continuare a camminare in un mondo che conoscevo ormai bene. Volevo concedermi una sfida. Registrare senza usare molti editing per esempio, live, per esempio tutte le parti vocali sono state registrate in un giorno, non per scelta… per mancanza di budget. Ma anche quella è una sfida alla fine.
Ho avuto il bisogno di migrare in un nuovo mondo che non conoscevo bene e sentirmi di nuovo stupito da ogni piccola conquista.
Ci racconteresti invece qualcosa a proposito delle circostanze nelle quali hai scritto e registrato “Permanent Signal” e del tipo di approccio che hai adottato verso i nuovi brani?
Molto semplice, per quest’album non mi sono focalizzato sui suoni ma sulle canzoni, struttura, testi e arrangiamenti basilari. Volevo qualcosa di pulito, senza troppi “temi”, cercare una sorta di approccio “live” anche se le canzoni sono molto pop in un certo senso. Come creare una superficie ruvida ma che sembra molto lucida in apparenza.
Una cosa che mi colpisce sempre della tua musica sono le melodie, la loro eleganza e leggerezza ed allo stesso tempo l´intensità emotiva. Hai facilità nello scriverle? Da cosa trai ispirazione?
Ma sai… grazie per il complimento, ma non saprei rispondere. Di sicuro credo che la parola ispirazione molte volte assume un valore troppo rilevante quando invece non lo è. Chi pensa di essere ispirato dalla propria incredibile collezione di dischi si sbaglia. Molte volte siamo ispirati da cosa brutte o a prima vista marginali, la musica in un supermercato per esempio. Poi sono proprio queste cose marginali che prendono spazio nella nostra testa, non il primo album dei Velvet Underground.
I musicisti coinvolti nel nuovo lavoro sono nomi noti della scena alternativa statunitense. Come li hai conosciuti e come ti sei trovato a lavorare con loro?
Facendo tour si conoscono un sacco di persone, con alcune nasce un legame simpatico che continua anche dopo i tour o concerti vari. Trovo i musicisti qui in US molto socievoli e davvero ben disposti a comunicare, per questo ho cominciato a collaborare solo quando mi sono trasferito a NY.
A proposito di U.S.A., ho letto che sarai lí in tour per promuovere il nuovo disco. In che tipo di formazione presenti la tua musica sul palco e come è stata ed è la reazione del pubblico da quelle parti?
Siamo in tre e non mi sono mai divertito cosi tanto. I nuovi brani suonano molto più robusti e con degli “strati” che l’album non ha, come se il live fosse una estensione del disco.
La gente sembra divertirsi e li sento molto vicini quando suono, anche questa una cosa che non mi era mai successa prima con così tanta intensità.
Parlando ancora di attività live, verrai a suonare in Europa e se sì, l´Italia è compresa tra le date?
Suonerò al “Bronson” di Ravenna il 4 Novembre, al “Lanificio” di Roma il 5 Novembre e al “Movement” di Padova il 6 Novembre. Sono sicuro che saranno degli show dove ci divertiremo molto. Finalmente tra i brani posso parlare in italiano e dire molte cose senza senso.