Vi facciamo ascoltare oggi in esclusiva streaming in partnership con deezer.com il nuovo disco dei Fabryka, Echo. Il gruppo è reduce dal Reeperbahn Festival di Amburgo e, di seguito, trovate anche il tour-diary con foto e parole di quest’esperienza.
Prendete un gigantesco luna park, shakeratelo con sexy shop, prostitute, casinò, junk food, alcool e il gotha della musica indie internazionale e avrete una vaga idea di che cosa può essere il Reeperbahn Festival. Se avete visto Mondo Cane sapete già che Amburgo non è precisamente una città sobria ed equilibrata, ed ora che l’abbiamo vista con i nostri occhi possiamo confermare che quella del docufilm di Cavara, Jacopetti e Prosperi non è un’esagerazione cinematografica, ma eufemistica realtà.
Siamo arrivati alla stazione di Amburgo dopo una serie di vicissitudini rocambolesche e coincidenze aeree prese al volo, senza avere il tempo di mangiare e sotto un diluvio torrenziale. Solo poche ore prima ci aggiravamo per le strade di una calda e relativamente tranquilla città del Sud Italia e di colpo eccoci catapultati nella stazione buia e ostile di un posto in cui pure per comprare il biglietto per la metro abbiamo bisogno di Google Translate. La prima impressione, quindi, non è delle migliori; ma ci basta entrare in una tavola calda per cambiare idea. Il titolare, Aimar, è un curdo che parla perfettamente italiano, ci prepara dei favolosi hambuger (sì, hamburger ad Hamburg, che originalità!) e ci conquista subito dicendo al nostro bassista Agostino: “tu sei brutto, lo sai?”. Non l’abbiamo più rivisto, ma se passate da Amburgo andate a trovarlo, ha il cd dei Fabryka (il primo in assoluto ad averlo scartato) e speriamo lo suoni spesso nel suo locale.
Amburgo è così, animata di contrasti, tra la rigidità germanica e la follia italiana, e sembra quasi una città del Sud che ha sbagliato collocazione geografica. L’architettura ultramoderna svetta tra palazzine più antiche e chiese gotiche sventrate dai bombardamenti, zone più fatiscenti nascondono pezzi di street art elaborati e coloratissimi, gli ingressi stretti e bui dei locali si aprono su palchi grandissimi, dall’acustica perfetta, con stucchi e decori da lasciarci a bocca aperta. Se si cammina distrattamente si rischia ad ogni angolo di morire investiti dalle biciclette, ma basta entrare in un locale qualunque per trovare aria di casa, cibo familiare, birra a fiumi e musica dal vivo. La prima sera amburghese (e parte delle successive) passerà così, in un localino a dieci metri dal nostro appartamento, dove scopriamo per caso una jam session jazz per piano, contrabbasso, trombone e… tip tap.
Giovedì 26 è il momento delle nostre esibizioni: set completo sul palco dello Spielbude, in ottima compagnia insieme agli A Toys Orchestra, i C+C=Maxigross e gli Artificial Harbour, e a seguire live acustico al più intimo Paddyworld. L’impatto col festival è spiazzante: ci sono palchi e stand ovunque, c’è musica live dei generi più svariati che esce dalle porte dei locali, confusi tra le insegne dei sexy shop e degli strip bar che al calar della sera illumineranno la strada di neon multicolori. Proprio qui a Reeperbahn i Beatles hanno mosso i loro primi passi (e hanno anche lasciato lì il loro primo bassista, Stuart Sutcliffe, che fu conquistato dal fermento della città e da una bella fotografa tedesca), e il locale dove esordirono, l’Indra, è oggi uno dei club più belli della zona. Il palco dove ci esibiremo, lo Spielbude, è proprio al centro di Reeperbahn: un’enorme struttura costruita appositamente per ospitare eventi tutto l’anno, che, ci spiegano, si muove su rotaie aprendosi o chiudendosi a piacimento sulla piazza, una roba che in Italia sarebbe fantascienza. Ma che qui sulla musica si investe parecchio lo avevamo capito subito.
Dopo l’esibizione dei bravissimi C+C (che se non li avete mai ascoltati dovreste proprio) tocca a noi, e dobbiamo prima di tutto sfatare il mito dei tedeschi gelidi: si tengono a distanza dal palco per mantenere una posizione di ascolto ottimale, ma già sulle prime battute de “L’ultimo film” cominciano a ballare e noi ci dimentichiamo di suonare su un palco così importante con le mani ghiacciate dall’emozione e dal vento freddo del Nord. Anche il live acustico, preparato in fretta e non privo di difficoltà tecniche, diventa l’occasione per divertirci e confrontarci con questo pubblico attentissimo e caloroso. Dopo i live facciamo amicizia, prendiamo contatti, vendiamo cd, e alla fine, ubriachi di stanchezza, felicità e soprattutto di birra, ci tuffiamo nel pieno festival.
In tre giorni si alternano sui palchi tantissimi gruppi che già amiamo e molti altri di cui diventiamo presto fan, ed è difficile vedere tutto quello che vorremmo: Gli show si susseguono e si corre da un locale all’altro consumando musica con ingordigia, saltando i pasti per ascoltare il più possibile, separandoci e reincontrandoci solo per scambiarci impressioni su questa o quella band. Jacco Gardner è una sorpresa che con le sue atmosfere psichedeliche alla Barrett ci sconquassa a notte inoltrata in quella bomboniera che è l’Imperial Theater, i Fanfarlo ci fanno saltare senza sosta mentre tutto il Fliegende Bauten butta all’aria i posti a sedere, gli Eftelkang ci commuovono e con le loro armonie ci danno una lezione magistrale di raffinatezza, potenza e personalità in un gremito e ipnotizzato Große Freihet 36, che fino a qualche ora prima aveva ospitato hard rock e metal. Fuori, fiumane di gente di ogni tipo scorrono incessanti, mentre il pubblico del festival e quello degli strip club si confondono e si mischiano, illuminati dai neon rossi dei locali e dalle luci dei palchi all’aperto.
Il ritorno è di quelli da ricordare. Agostino e Stefano ci salutano il 27 mattina (Stefano ha una data con Big Charlie al MEI di Faenza il giorno dopo). Il resto della ciurma parte invece domenica mattina, mentre per una serie di problemi logistici il nostro manager Gigi è costretto a partire da solo nel pomeriggio, con un synth al seguito. I voli separati si riveleranno alla fine una sfortuna. Dopo aver scoperto che il bus navetta che collega Amburgo all’aeroporto di Lubecca è uno solo, ed è partito ore prima del nostro arrivo in stazione, parte ufficialmente la nostra lotta contro il tempo. Un generoso taxista ci accoglie con bagagli, strumenti e fretta annessa per portarci, senza troppi se e troppi ma, all’aeroporto di Lubecca proponendoci un prezzo dettato, senza dubbio, più dalle nostre facce che dal tassametro. Con un ultimo colpo di reni riusciamo ad imbarcarci e fare perfino colazione, rientrando a casa in “sole” nove ore. Quanto a Gigi, invece, mentre scriviamo sta ancora facendo ritorno a casa, probabilmente su un cargo battente bandiera liberiana, causa apocalisse congiunta di aerei che atterrano senza carrelli generando ritardi, smarrendo synth e impedendo coincidenze.
Approfittiamo per ringraziare ufficialmente RHO’ (artista che condivide con noi la permanenza in Snowy Peach) per averlo salvato da morte certa sotto i ponti del Tevere, permettendogli di far ritorno a casa sano e salvo con un pullman di linea che ha portato a termine la nostra folle spedizione ad Amburgo.
Un saluto ed un grazie a Simona Ardito che ha condiviso con noi questa esperienza documentando tutto e sopportandoci con una calma degna del maestro Miyagi, a Puglia Sounds per averci invitato in questo festival meraviglioso, a Bespeco Professional per il supporto tecnico e a Christoph Storbeck per aver organizzato tutto magistralmente.
Ci si vede il 12 Ottobre al Water Rats Theatre di Londra.