Questo disco dei L’Amo l’ho ricevuto già da un po’. Un notte parlavo con Alessio di questo nuovo album e di quanto attendessi di poterlo ascoltare. Detto, fatto, nella nostra conversazione è apparso un magico link per accedere al mondo del Niente, un nulla che non era però quello cosmico, anzi, era un “niente” simbolo di cambiamento e nuove avventure, quelle che i L’Amo mi invitavano ad intraprendere.
Ho passato settimane ascoltando questo disco, dormendoci insieme, usandolo come fosse Lexotan e risvegliandomi il giorno dopo con cumuli di rabbia da dissipare nelle maniere più disparate. Non vi dirò che questo Niente (è un bel pensiero da mettere tra le gambe alle ragazze) è un disco più maturo del precedente Di Primavera in Primavera, perché infondo che cazzo significa? In effetti sto disco è superiore al suo predecessore, ma non è questo il punto. Il fatto centrale è che i L’Amo hanno tirato fuori un lavoro che suona come una batteria di petardi clandestini pronti per essere sparati a pochi secondi dalla mezzanotte del 31 dicembre. Dieci tracce che si ascoltano tutte d’un fiato, chitarre che lacrimano sangue, drum che trasudando vodka lemon, testi che non dimentichi facilmente e che ti puoi ritrovare tranquillamente a cantare sotto un temporale autunnale. Incazzato. Come se la vita fosse il più grosso buco nero in cui finire e avessi la sfortuna di essere nato juventino, quindi ladro.
Non so cosa abbia scritto, in effetti, su questo nuovo disco del trio partenopeo, quello che so è che l’ho fatto di getto, come se stessi gridando queste parole dopo aver sofferto per una stronza scappata dopo essersi fatta offrire da bere. Resto seduto al tavolo del bar e grido che alla fine affogherò quest’amore nel Gin, che sto bene se non ci sei tu con me e che dalla terza in poi mi sarei innamorato di chiunque, quindi va bene così. Torno a casa e sudo forte, infilo Niente nelle orecchie ed il resto lo tengo tra le mani.