Che piaccia o no, l’influenza che Banksy ha avuto sull’intero mondo dei writers è sempre stata, sin dalle sue prime apparizioni a Bristol negli anni ’80, di portata decisamente notevole. Non è un caso che abbia esordito con la frase “che piaccia o no”. Difatti, proprio in concomitanza con la sua trasferta a New York (della quale abbiamo già parlato), è impazzato nuovamente il dibattito sull’effettiva valenza di Banksy all’interno del mondo della street art. C’è chi dice si tratti solamente di un writer che segue l’onda di gradimento del pubblico, uno che semplicemente si adatta allo stra-citatissimo “mainstream” e chi lo difende riconoscendo la sua capacità e la sua voglia di differenziarsi sempre. Sta di fatto che molte delle sue opere a NYC sono state─nel giro di 7 giorni─osteggiate talvolta in maniera intelligente, altre volte meno. Alcuni degli street artist più importanti provano a spiegare il fenomeno.
A tal proposito Shepard Fairey è abbastanza chiaro: «la fama genera ammirazione e disprezzo, e Banksy è vittima proprio del suo stesso successo. La società attuale è permeata da una patina di cinismo che rende il mondo reazionario, e io sono invidioso di chi, come Banksy, ha il coraggio di fare qualcosa». Fairey sposta poi l’attenzione sulla democrazia delle strade, che può spesso rivelarsi un’arma a doppio taglio, portandoti all’attenzione di persone che preferiscono distruggere piuttosto che costruire qualcosa. «Ci sono idioti in ogni nicchia culturale. Bisogna semplicemente abbracciare il bene e superare queste stronzate».
Chi invece cerca più di fare il punto sull’universo della street art newyorkese è MQ. Secondo lui non importa chi sei o quanto sei già famoso. Nella grande mela il rispetto da parte dei writers della zona bisogna guadagnarselo, e questo vale anche per Banksy. «Personalmente – commenta MQ – mi piacciono i suoi lavori. Hanno un particolare senso dell’umorismo e fanno pensare. Non si tratta di un personaggio pubblico, e la sua unica interazione con il pubblico sono i graffiti per le strade. Tutto ciò lo rende veramente interessante. Poi, ripeto, non ha molta importanza cosa accadrà ai lavori di Banksy a New York. La gente guarda e poi reagisce di conseguenza».
«Probabilmente i motivi che portano Banksy ad essere criticato derivano dal fatto che la maggior parte delle persone sono invidiose della sua fama e del suo denaro – dice senza giri di parole un altro writer, BNE – senza contare poi che criticare gente come Banksy è un modo semplice di portare un po’ di attenzione anche su se stessi».
Chi invece riporta l’attenzione sulla dimensione del writing prettamente newyorkese è Quik, che senza mezzi termini definisce gli abitanti della grande mela degli “haters nati”. Si tratta di una popolazione orgogliosa e al tempo stesso gelosa dei propri lavori, a causa di un arte, quella dei graffiti, che sopravvive a fatica in una città che sicuramente non tende a far prosperare questo genere di vocazione artistica.
Rispetto ai pareri precedentemente registrati, di diversa natura è quello di Dceve, il quale cerca più che altro di rendere l’idea sul come «i lavori di Banksy facciano parte di una cultura prettamente pop, e di conseguenza ogni sua iniziativa fa notizia. Ci sono un sacco di writers che dedicano la propria vita nel tentativo di dare ai propri lavori la connotazione di “opere artistiche”, senza ricevere la stessa attenzione che Banksy ha su un suo solo pezzo. Alcuni se ne fregano, ma altri non fanno altro che accumulare odio e rancore. Che piaccia o no – continua Dceve – il nome di Banksy è senza dubbio quello più popolare fra tutti quelli associati alla street art».
Per dirla con le parole dello stesso Banksy: «Pensavo che gli altri writers mi odiassero perché usavo lo stencil, invece loro mi odiano e basta».