“Credo si possa comunicare benissimo solo nel silenzio, nel non detto. La comunicazione è troppo allarmante. Entrare nella vita di qualcun altro è troppo spaventoso”. – Harold Pinter
1962.
Harold Pinter. Ovvero: il maestro del non-detto, il drammaturgo inglese che ha elevato il concetto di minaccia tanto da coniare una definizione per ogni tipo di silenzio usato nelle sue opere: i puntini a significare un’esitazione; la pausa, eloquente quanto una battuta, a segnalare un momento carico di tensione; il silenzio come il punto di non ritorno della crisi. E’ con un’omissione che i personaggi di Pinter occultano la loro parte più intima. Un’interferenza tra le parole. Uno spazio tra i suoni.
– Lo sai cosa fa quella gente? – disse Len. – Si tiene in bilico sulle parole, una dopo l’altra, come si fa sulle pietre dei fiumi per guadare. […]
Pietre da guado. Ma dimmi una cosa. Come fa quando si trova nel mezzo di una strofa priva di parole? Riesci a rispondermi a questo? Cosa fa quando si trova nel mezzo di una strofa priva di parole? Mi sai dire questo? (I Nani, Harold Pinter)
2013.
Una sospensione acquista lentamente una forma nello spazio.
Psychic, disco del progetto Nicolas Jaar/Dave Harrington a firma Darkside, nasce così.
Tra compressioni e dilatazioni, rumori bianchi e pause si modella Golden Arrow, primo singolo e manifesto del disco. Non è casuale (nulla lo è se partorito dal metodico Jaar) che il ritmo parta proprio da un controtempo: un risucchio, un glitch, un’interferenza.
Così si dipana tutto l’album: da imperfezioni impercettibili rimbalzano rinvii ad un misterioso altro, presenze che circonfondono e ammaliano, si palesano e dissimulano.
Tanti i nomi che compaiono in mente: la chitarra lascivamente riverberata e la voce baritonale in Paper Trails rimandano senza imbarazzi a Wicked Games di Chris Isaak, l’uso sapiente del falsetto a Mark Hollis, gli organi ai migliori Air nella conclusiva Metatron.
Tutto questo a creare atmosfere buie (Greek Light) che suggeriscono senza precisare: un continuo eccetera che elude ogni definizione, dei puntini di sospensione che nascondono, proprio come ha detto Jaar in un’intervista, “l’altra parte, quella oscura, quella che non si vede”.
Una parte che emerge in maniera sottile come in un gioco d’ombre, nel mezzo di una “strofa priva di parole”.