Pensavo non potesse esistere nulla di più retorico, ampolloso e ridondante di un film con Denzel Washington nei panni di un professore universitario nero, tra neri studenti, su neri dibattiti, per neri riscatti, con neri parenti. Ma naturalmente non avevo fatto i conti con l’inizio del tour Yeezus, partito lo scorso weekend da Seattle e montato come uno spettacolo biblico, non proprio per le proporzioni, quanto per i riferimenti genuinamente sacrileghi voluti da Kanye West. Nelle recenti settimane abbiam fatto un gran vociare intorno le ultime incursioni radio-televisive che han visto Yeezy ergersi su scranni in velluto rosso ed elettricità modellata a mo’ di schienale, tuonante verso coloro che ancora dubitano del valore salvifico che la sua figura incarna. In delirio d’onnipotenza, prima negli studi inglesi della BBC, ospitato da Zane Lowe, poi a casa dell’anchorman statunitense Jimmy Kimmel, Kanye si è confessato evangelista inviato sulla terra per salvare gli uomini dalla minaccia di una vita senza, boh, leather jogging pants. Per sottolineare quindi l’intera operazione misericordiosa che la sua venuta rappresenta, il tour pare configurarsi come uno sgraziato spettacolo promozionale di una nuova setta religiosa filo-battista nata in Texas, in cui vengono narrate le gesta del profeta venerato in una confusione di rimandi sacri, baracconate e imbarazzanti approssimazioni. Le esuberanti intenzioni sono già chiare a partire dall’allestimento degli stage. Un enorme superficie circolare, imminente sul pubblico, accoglie le proiezioni alludenti a scorci celesti, mentre si staglia sulla vetta di un monte posticcio in cartongesso, un po’ Monte Sinai, un po’ montagna sacra di Jodorowski, un po’ sperone tra le montagne russe di Indiana Jones a Gardaland. Al centro dell’arena invece si pone la piattaforma triangolare che funge da main stage, sulla quale Kanye si dimena in modo drammatico, lanciando i suoi arti, senza cura per strappi muscolari o strappi ben più sgraditi.
La disfunzione del vestiario comunque non preoccupa se il guardaroba confezionato dallo staff di Maison Martin Margiela è composto da 10 pezzi di haute couture e 20 di ready to wear customizzati per l’occasione e pronti ad essere sostituiti con uno schiocco di dita. Ciò che preoccupa di più è la chiave di lettura con la quale Kanye ha studiato la messa in scena di questa recita parrocchiale. L’utilizzo di riferimenti religiosi è tutt’altro che velato. Per evitare d’incappare nella figura di quello che occulta i propri messaggi, il rapper ha pensato di trasformare il suo show in una celebrazione liturgica con tanto d’apparizione miracolosa di un White Jesus. Già annoverato come nuovo highlight della carriera del rapper, il siparietto si consuma beceramente come intro alla performance di Jesus Walks, e incanta per quell’ingenuità, propria degli sketch dei coniugi Vianello, che confonde circa il limite tra finzione e realtà. A rincarare la dose, sull’intro di I Wonder, le ballerine-sacerdotesse portano in processione ceri e icone religiose, uscendo con passo solenne dal mezzo della montagna di cartongesso, aperta a metà e inondata di vapore e luci per coronare il momento mistico. Certo, uno pensa, trattandosi pur sempre di Kanye West, che ci si trovi di fronte la solita esasperata fiera dell’ego in cui lui vuole prendersi uno sgabello e sedersi alla sinistra del padreterno e guardarci tutti piegandosi un po’ sulla spalla del creatore per dar l’impressione d’essere in feeling con lui. Anche io pensavo fosse tutto risolto in questa chiave. Ma a chiarire ci ha pensato lo stesso West, parlando ai microfoni della radio di San Francisco Wild 94.9, all’interno di un’intervista in cui ha discusso dell’appena inaugurato tour e di altre cose da perfetto cattolico americano, come il proprio rapporto con dio, la sua visione della cristianità e il messaggio che la religione dovrebbe infondere in ogni credente. Inquietante è notare la differenza d’atteggiamenti, toni, espressioni facciali e stati d’animo tra le passionali interviste da Jimmy Kimmel e Zane Lowe e quest’ultima. Mentre nelle precedenti Kanye si è mostrato vulnerabile ed esagitato, inadeguato nel gestire il rancore e impacciato nel controllare la gestualità quanto le parole, quasi sommerso da se stesso e incapace di mantenere il filo dei suoi discorsi colmi di risentimento, negli studi di Wild 94.9, raccontando del suo rapporto con la religione, si mostra sereno e pacato, confidente nel saper elargire sorrisi e sicuro nel relazionarsi con i suoi intervistatori.
Come fosse testimone di un miracolo ricevuto dalla madonna di Medjugorje e ne parlasse con la luce negli occhi in un talk show di Paola Perego, gli argomenti esposti spiazzano per la fiducia con la quale vengono snocciolati dallo stesso uomo che poche settimane prima sembrava capace di appiccare roghi nelle sedi principali di tutte le aziende che gli hanno negato stima. La calma di un chierichetto e la gioia di un pastore, che hanno caratterizzato quest’ultima apparizione, mi portano a riflettere circa il momento che Kanye sta vivendo in questo preciso istante della sua vita: i riconoscimenti, la paternità, l’inizio di un tour dopo 5 anni, il fidanzamento ufficiale con Kim; vuoi vedere che questo si dà una calmata?
Lo Yeezus Tour, comunque, è solo alle prime battute, se ne stracceranno di pantaloni, se ne consumerà di cartongesso per combattere l’usura del monte posticcio, ce ne saranno di occasioni per tornare a parlarne, ma ad oggi è piacevole pensare che nel mezzo della sua impetuosa carriera, forse solo per un periodo breve, Kanye West stia percorrendo la stessa strada mistica e consolatrice che ha cambiato, salvato e reso migliore Paolo Brosio.
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