Siamo abituati ad associare il suo nome alle firme dell’hip hop italiano più recenti: Marracash, Clementino, Fabri Fibra, gli idoli onnipresenti di Mtv.
Ma Tayone – al secolo Gianluca Cranco – ha visto nascere la propria carriera molto tempo fa, quando c’erano Callister, i Fluxer e la Alien Army, di cui ha fatto parte e i cui lavori sono stati pubblicati anche oltreoceano. Ha iniziato quando il connubio fra musica italiana e articolate produzioni electro non erano neanche lontanamente immaginabili.
In seguito alla release di Gunboy, pezzo che reinterpreta il leggendario motivo di “Lo chiamavano Trinità”, prodotto dalla Digital Bros Music con la collaborazione di Pat Cosmo (Casino Royale, Bluebeaters), la crew The Insiders lo ha intervistato.
Da dove nasce in “Gunplay” la scelta di riutilizzare il brano di Micalizzi?
La scelta nasce dal fatto che io avevo già fatto questo pezzo dal vivo con Franco Micalizzi e la sua orchestra anni fa. Avevo fatto una serata a Bologna e una a Milano inserendo il fischio, il tema famoso, poi la cosa era finita lì. Passati un po’ di anni il pezzo è stato riutilizzato da Quentin Tarantino nel suo ultimo film Django: quando sono uscito dal cinema, dopo aver visto il film mi sono detto “ok, vado a casa e produco questa roba in maniera più moderna”.
Il videoclip che accompagna il brano è curato dal regista newyorkese Demian Lichtenstein, uno che in passato ha lavorato ai videoclip di gente come Cypress Hill, Eric B, Rakim e perfino Eric Clapton. Raccontaci di questa esperienza.
Avevo un contatto nell’industria dei videogiochi, ogni tanto me ne mandavano uno. Mi hanno mandato questo gioco dove ci sono rapinatori – come si vede nel video – con le maschere da cane eccetera, e ho pensato che sarebbe stato bello associare al pezzo questi personaggi che sono dei fuorilegge come lo era Terence Hill nel film però più contemporanei, che fanno delle rapine in banca e non nel West, una cosa un po’ più moderna. Ho proposto il pezzo a questa persona e neanche a farlo apposta mi hanno detto “guarda c’è questa serie web (Payday, ndr), guardati le immagini e vedi se le possiamo utilizzare, se riusciamo a farci un video”. Al regista è piaciuto il pezzo, ci hanno montato delle parti e da lì è nato il videoclip.
Com’è nata invece la collaborazione con Pat Cosmo?
Pat Cosmo in realtà si chiama Patrick Benifei, lui è uno dei cantanti dei Casino Royale e poi è stato il cantante dei Bluebeaters. Lo conosco da anni, siamo amici da sempre, abbiamo fatto molte serate, con i Casino Royale e Dj Gruff, lui c’era sempre. Abbiamo anche fatto altre cose in dischi miei, lui è una delle voci più versatili che ci sono in Italia, gli puoi far cantare cose sia funk che cose un po’ più reggae, sia in italiano che in inglese, quindi quando ho voluto una voce che sostituisse l’originale, Annibale, ho chiamato lui che l’ha rifatta interpretandola in modo un po’ più funk. Il pezzo era “Gunboy”, era un po’ più electro: mi è piaciuto, l’ha fatta proprio come volevo io.
Sei il dj di uno tra i rapper più famosi d’Italia come Marracash e nello stesso tempo alcune tue produzioni hanno uno stile puramente electro. Come riesci a conciliare le due anime?
Per esempio con Marracash proprio quest’estate è uscito “La tipa del tipo“, prodotto da me e rappato da Marracash. Penso che quando uno è un buon rapper riesce a rappare un po’ tutto: gli ho dato la base un po’ dance e lui ci ha rappato sopra. La differenza sostanziale per me è che come dj mi piace suonare di tutto. Quando vado a suonare con i rapper suono le loro cose, scratchando, facendo delle cose mie dal vivo, e quando suono dal vivo suono delle cose mie, dance, electro. E’ una cosa che mi viene proprio naturale cambiare modo, essere versatile.
Da qualche tempo la musica pop si sta nutrendo di componenti dal sound elettronico. Cosa pensi al riguardo?
Penso che è giusto che ci siano degli esperimenti; sono anni che ci sono queste cose; anche gli Aerosmith e i Run DMC fecero un pezzo insieme, facendo un po’ un cross-over, rap misto a rock. E’ giusto poter mixare le cose, finalmente anche l’hip hop è un po’ più dance; poi ci sono le cose belle e le cose brutte, quindi ci può essere la dance fatta male e la dance fatta bene. Certe volte escono delle cose anche povere di suono, povere di animo, ma allo stesso tempo ci sono cose tipo il progetto degli Gnarls Barkley formati da Danger Mouse e Cee Lo Green che fecero il pezzo “Crazy”, molto dance con una sonorità molto soul. Oppure i Gorillaz che hanno sì un suono figo, però allo stesso tempo un po’ electro. La musica leggera italiana poi un po’ ha stufato, è sempre uguale, bisogna che gli artisti italiani si mettano in mano ai giovani, che acquisiscano dei suoni un po’ più europei, più pop, come vanno adesso.
È nata Roccia Music, la label di Marracash che coinvolge nomi grossi della scena hip hop italiana e tanti nuovi talenti. Su cosa punterete per differenziare la vostra etichetta dalle altre?
Roccia Music è nata come un movimento più che una label, perché molte label sono costituite da differenti artisti con differenti modi di vedere le cose. Tutti quelli che fanno parte di quest’etichetta hanno un’idea di come vogliono apparire a livello di immagine oltre che di suono. C’è unione, gli artisti si fanno forza gli uni con gli altri. E’ una sorta di famiglia, che è diverso. In più Marracash non ha voluto puntare su personaggi già famosi sul web, ma prendere persone da zero in cui ha visto qualcosa, cercando poi di costruire loro una carriera. Questa è una differenza sostanziale rispetto alle altre etichette.