Ci siamo, il grande giorno è arrivato. I Mount Kimbie sono tra quegli artisti che centellinano le uscite con parsimonia, che fanno musica da anni ma sembrano sempre appena usciti dalla loro stanzetta, perché conservano il disorientamento di chi non si aspettava il successo, la calda accoglienza, la curiosità intorno al proprio lavoro. Cold Spring Fault Less Youth si candida ad essere una delle uscite più significative del 2013 e noi li abbiamo raggiunti al telefono per farci spiegare come la vedono loro. Questo venerdì puoi venirli a sentire live al Tunnel Club grazie alle crew de Le Cannibale + Voyage che uniscono le forze per l’occasione. Capisci che, anche sforzandoti, non puoi avere davvero niente di meglio da fare questo weekend?
Ciao ragazzi, la vostra storia suona tanto come una di quelle da film, in cui due giovani produttori, chiusi nelle loro stanzette, sognano di raggiungere folle oceaniche con la loro musica. Quando avete realizzato che Mount Kimbie stava diventando qualcosa di più grosso e non era più un semplice hobby personale?
[Risponde Kai] Oh beh, non so identificarti un momento preciso in cui questo è avvenuto. Sai, io faccio musica dal 2005 e per me è sempre stato qualcosa di molto spontaneo, naturalmente presente nella mia vita, finché non ho deciso di prendere più seriamente questa attività e ho incontrato Dom all’università. Ci siamo chiusi in studio per un anno e abbiamo composto solo musica, poi con l’esplosione di internet e la velocità con cui corrono oggi le cose, i blog, i magazine, non ci siamo neanche resi conto di quello che stava succedendo.
Che ne pensate della definizione di Dubstep o Post-dubsetp che a volte la stampa vi affibbia? È una definizione in cui vi ritrovate? Io credo che la vostra musica sia piuttosto un mix&match di Dub e Ambient.
Non credo che dubstep sia la definizione più giusta, ma è vero che dal 2007 in poi qualsiasi cosa è stata influenzata da questo genere e allora i giornali applicano l’etichetta un po’ dappertutto. Bisogna dire una cosa: la dubstep non è quella che oggi tutti immaginano, non è quella di cui sono fan molti ragazzi giovani, è un’altra storia e ha un altro spessore. Quello che facciamo noi è mescolare degli elementi di questa scena con tutto il resto che ci gravita intorno.
Parliamo del vostro ultimo album: credo fermamente che Made To Stray sia una delle tracce del 2013. Com’è nato questo brano e in generale qual è l’idea portante dietro Cold Spring Fault Less Youth?
Made To Stray è una traccia che piace tanto anche a noi perché è una traccia forte. In generale credo che la vera differenza in questo album l’abbia fatta l’approccio: ci sentivamo più sicuri rispetto al precedente lavoro, ma anche diversi. L’abbiamo realizzato guardando al futuro, assorbendo tutto quello che ci circondava, pensiamo che sia un lavoro veramente solido, che non segue un’idea precisa, ma che ci rappresenta in quanto evoluzione.
Durante la sua produzione avete fiutato i trend circostanti o siete rimasti fedeli all’idea che avevate in testa dal primo momento?
I trend che ti circondano non puoi ignorarli, ti influenzano per forza. Naturalmente la direzione dell’album è scaturita dalle nostre teste, ma non puoi scegliere di non farti influenzare da quello che ti accade intorno: verrai condizionato e basta.
Lo scorso maggio siete stati in Boiler Room insieme all’amico di vecchia data James Blake, a George Fitzgerald e a Gilles Peterson . Chi scegliereste di affiancare oggi in quella stessa Boiler Room?
In generale i nomi caldi sono gli stessi, ma affiancherei volentieri King Krule o Lee Gamble. Oltre che a questi nomi ultimamente stiamo ascoltando Macklemore con The Heist e il nuovo di Connan Mockasin.
Quando registrate preferite chiudervi in studio e non avere rapporti col mondo fuori o al contrario amate stare a contatto con le influenze esterne?
Mah sai, all’inizio tendiamo a chiuderci in studio per raccogliere al meglio le idee, ma dopo due mesi ad alzarti alle sette del mattino senza vedere nessuno cominci ad apprezzare il contatto con le persone che possono aiutarti e darti dei consigli sulla direzione che stai prendendo (ride, ndr).
Passiamo all’ultima domanda: il vostro rapporto con il clubbing è sempre stato abbastanza marginale, nonostante produciate elettronica, e i Mount Kimbie si avvicinano più alla dimensione del concerto che a quella del DJ set. Che ne pensate della club culture in generale?
Credo che i club siano una gran cosa, un posto democratico che permette a molte persone di avvicinarsi alla musica: una band ha costi molto più elevati rispetto ad un DJ set e l’approccio alle due cose è completamente diverso. Amiamo entrambe le dimensioni, anche se siamo più vicini a quella del live perché ti permette di non snaturare i sound originali.
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