Chissà come sarà l’autunno a Perugia. Fuorisede alle prese con i primi freddi, alberi, le foglie a terra, lungo i bordi dei viali. Quell’aria di desolazione puramente provinciale, sebbene mitigata dalla vocazione universitaria, nata da poco, come quell’attrazione per la nuova arrivata dell’Erasmus.
L’autunno è anche il mese dell’osservazione, del riflettere sui buoni propositi di settembre, andati a puttane. Lo stesso di un EP degli Altro di qualche anno fa, al quale questi ragazzi devono molto. Gli amici che rompono ancora le scatole, ancora con gli aneddoti estivi. Sempre gli stessi, sempre uguali ad altri.
Quelli dei diciannove anni. L’età degli Autunno.
Il loro primo EP, omonimo, si mostra come nelle più tenere delle diapositive universitarie. Di quelle che a riguardarle da grande ti commuovi, ripensi alle cazzate, agli scherzi di un’età oramai passata, meravigliosa quanto turbolenta.
L’innocenza dei sentimenti. Quelli di “Dettaglio”, e le testimonianze degli oggetti, contorno di un amore, di gite fuori porta, di un amore. L’amore ed il suo residuo, segnali che testimoniano la traccia della sua fine, quasi fosse una tremenda ed assordante dittatura degli oggetti.
L’esperienza dell’incomunicabilità, e della soffusa solitudine che si prova. Quella di “Lattuga”, e la sua triste consapevolezza di distanza, con gli altri esseri umani. Il distacco della propria interiorità, con la vita circostante. La sua sconfortante contraddizione.
Inesorabile, come la quotidianità di “Scarpe”, e la sua assenza di ogni contenuto, di ogni ragione.
Un messaggio che non vuole contenerne, come se la sua stessa esistenza giustificasse ogni cosa, rendesse ridicola ogni pretesa di contenuto. Come in ogni disco punk che si rispetti, del resto.
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