Foto di Flavia Tullio
Qua da noi le cose fanno schifo, dice Margot. Ha gli occhi di china nera che non vedi dove finiscono le pupille e dove inizia il bianco. Vado per andare e non per far ritorno, dice con un filo di voce. Blackie Drago sono Maria Rosaria, Chiara e Greta. Ma anche Margot, Twiggy e Coco (M, T e C), se preferisci il versante artistico. Ma nel momento preciso in cui stai leggendo, questa band non esiste più, o meglio è in una pausa meditativa. Margot ha rifiutato il Bel Paese, lei che è canta e ha dunque i faretti addosso. Aereo per Berlino, lavoro e progetti nuovi, vita nuova. Chiara e Greta resteranno a Bologna e cambieranno nome alla band, instradando un progetto musicale differente.
M: “Vado a vivere a Berlino. Mi è scesa Bologna, l’Italia. Me ne vado perché voglio provare a spaccare di più nella grafica, in particolare la grafica editoriale. Ho degli amici che sono interessati a fare questa cosa”.
T: “Va a fare la barbona a Berlino”.
M: “Voglio trovarmi un buon lavoro. Il gruppo non è un lavoro”.
Blackie Drago hanno il complesso dell’Uomo Ragno, il chiodo del fumetto, una passione profonda per il cosmo Marvel. Twiggy, quando non serve da bere al bancone del Covo Club, va alla scrivania e disegna come Dio solo sa fare. Utilizza la china nera per abbozzare animali al limite dell’iperrealismo.
M: “Io e Twiggy siamo molto appassionate dell’Uomo Ragno, il fumetto. Io ne colleziono pochi perché costano davvero troppo”
T: “Lei fotocopia tanto”
M: “Esatto, li scarico e li impagino io con Windeisgn e li porto a fotocopiare. Ricreo il fumetto. Ci piaceva come suonava il nome Blackie Drago, perché è figo”
C: “Io amo i manga invece”
Perché non facciamo un gruppo? Nasce così la band, tra i corridoi blu del Covo. Quanto può incidere lavorare in un locale dalla programmazione internazionale e in un istante decidere di diventare rocker?
T: “Abbiamo modo di ascoltare veramente un sacco di band ogni mese. Da lì abbiamo avuto modo di regolarci su quale genere seguire e farci influenzare. A me comunque è toccata la chitarra, loro due sapevano già suonare”
M: “Io all’inizio ho detto “Ok, facciamo la band”. Ma dev’essere una roba con mille cori. Da tutte le parti. Una roba che non si capisce un cazzo. Tipo le Ronettes all’ennesima potenza. E poi…”
T: “Margot fa i testi”
M: “Lei fa la chitarra e poi ci metto sopra la linea vocale e ci scrivo il testo”
T: “Di solito ci troviamo io e Greta a fare le prove. Poi mandiamo tutto a Margot”
M: “Quando arriva la chitarra scrivo tutto. Non prima. Di solito scrivo delle robe che mi succedono”
Del tipo?
M: “Scrivo le cose che mi prendono male, principalmente. Stati d’animo. Sono molto emo in realtà. Sono molto sensibile, è una cosa che mi viene molto naturale”
Margot si attenua nei toni della voce, chiude le spalle, la china nera degli occhi si affievolisce. Ho l’impressione che non abbia voglia di parlare dei testi, come se ci fosse troppo di personale, troppo di sé. C’è un oceano di sensibilità nel suo silenzio. D’accordo e oggi che fate?
M: “Stiamo per registrare un pezzo nuovo. Anzi volevamo registrare questi pezzi che abbiamo per tenerceli”.
Diventerà un disco?
M: “Volevamo registrarli e tenerceli. Di fatto non abbiamo soldi per andare in uno studio. Allora ci siamo messe là, abbiamo chiesto una scheda audio a delle persone. Poi abbiamo visto due tutorial. Stiamo facendo tutto noi. Sono andata sui forum dei nerdacchioni…”
T: “Per imparare ad attaccare i cavi”
M: “Usiamo GarageBand”
T: “Tu devi vedere per fare la batteria…Un microfono piantato in mezzo alla cassa e basta”
M: “Molto lo-fi”
Ai tedeschi piace il molto-lo-fi.
T: “Quando Margot sarà a Berlino probabilmente cambieremo nome. Sarà un’altra roba. Aspettiamo che torni. O veniamo noi da te”
Di sera lo-fi, le minigonne, il noise, i riverberi e quelle chitarre così acide che sono limone. Ma di giorno che fate?
M: “Io faccio la grafica. Mi arrabatto tra grafica, video. Non video musicali. Ho fatto un corso per imparare. Poi faccio anche le foto. Per imparare sono stata con dei fotografi. Stata nel senso di sentimentalmente“
C: “Io ho una piccola azienda. Un’azienda per i cavoli miei”
M: “Greta è una grande imprenditrice”
T: “Non si sa bene di cosa, ma lo è”
M: “Ha creato un e-commerce di autoricambi”
T: “Quando la polizia andrà a casa sua scopriremo tutti di che cosa si occupa”
Lavorando anche al Covo avrete visto un milione di concerti. Com’è stato passare da sotto a sopra il palcoscenico?
M: “La prima volta avevo un po’ di diarrea”
T: “Ho detto ‘Chi cazzo ce l’ha fatta fare tutta ‘sta roba?’”
M: “Io cagotto e mal di testa”
C: “Abbiamo suonato una ventina di volte. Dopo la prima volta è stato tutto più facile”.
M: “Venite a Berlino a lollare. Mi è scesa la catena. Io non sono di Bologna, non sento un attaccamento. Qui sto bene, ma avevo esigenza di fare qualcosa di più. Adesso in Italia, sembra una banalità, ma è davvero troppo difficile portare avanti le cose. Troppe licenze, permessi, cose. Ed è tutto nelle mani di quattro vecchi di merda. Sempre tasse, sempre, sempre. A Berlino ho un sacco d’amici che hanno aperto le loro attività con poco”
C: “Qui se hai un’idea investi dei soldi, però la tua idea non va e così hai perso dei soldi. Se vai all’estero no”
E il pezzo che dovete registrare di cosa parla? Del fatto che fai la stronza e te ne vai per sempre, lasciandole in brghe di tela?
M: “Il pezzo che stiamo registrando non parla della fuga. Parla di mia madre. Si chiama That very moment“
T: “Sua madre. Che si mette le scarpe argentate”
M: “Una volta ho comprato un paio di scarpe argentate su Internet. E le ho fatte recapitare a casa di mia madre. Lei, per farmi vedere come stavano, le ha indossate e si è fotografata. Aveva addosso la tuta con l’elastico. Una roba orrenda”
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