Foto di Virginia De Siro
Eccoci finalmente a parlare del concerto dei Disclosure, e non di quello che vi gravita attorno. Qualche considerazione, un paio di perplessità e tanto divertimento di facile accesso per il concerto del duo garage inglese.
La performance live si apre con un grande classico per ballare, F For You, nella versione che contempla il cantato di Mary J Blige… Ma senza Mary J Blige. Nonostante il pezzo suoni tanto come una cassetta registrata e mandata nell’etere, il coinvolgimento del pubblico è palpabile e sono tutti in religiosa ripresa di questo spettacolo che si preannuncia un grande show, ma confezionato nel minimo dettaglio.
E in effetti la mia sensazione viene confermata traccia dopo traccia: i grandi successi dei fratelli Lawrence sono inanellati in una scaletta che probabilmente avrai già sentito durante gli ormai numerosi live che hanno tenuto in giro per il mondo e che faranno anche al prossimo Coachella. Voices, il remix di Running, Help Me Lose My Mind, When A Fire Starts To Burn: è una parata circense ma ordinata di canzoni che il pubblico canta senza troppa difficoltà perché le ha già consumate nei rispettivi iPod. Ed è qui che mi sorge la domanda ”che differenza c’è tra la dimensione del live e quella dell’ascolto personale se non riesci a percepirla?”. Il concerto è stato divertente e godibile, intendiamoci, ma alcuni elementi deludono da subito: la mancanza di una vocalist che riuscisse a restituire la sensazione di performance live dato l’alto numero di canzoni con un cantato importante, un basso suonato in maniera non proprio superlativa su una base registrata, una scaletta scritta a colpo sicuro, empatia ai minimi storici con la platea.
Tuttavia, non riesco a stupirmi di nessuna di queste mancanze seguendoli da ormai quasi due anni: la loro freddezza è nota, la potenza vocale, nei rari momenti in cui prendono il microfono in mano, non è comparabile a quella strumentale e la sensazione di spettacolo confezionato è tipica di tutti i grandi concerti che girano il mondo seguendo uno schema consolidato (vedi i live dei Major Lazer o di Kendrick Lamar, che differiscono per genere ma non per formula). I Discloure sono ormai saliti a pieno titolo nell’olimpo del pop, un impero dove non conta come suoni, non conta cosa comunichi al momento e non conta neppure la sbavatura da improvvisazione. Importa aprire e chiudere con la canzone giusta. E con cosa potevano chiudere se non con Latch?