Cosa succede se scegli un teatro di quasi trecento anni come location per il live set di un duo che definire “sperimentale” è limitativo?
Succede che fai una delle mosse più azzeccate per dare importanza al panorama del clubbing italiano, perché gli artisti sono eccelsi, il posto è mozzafiato e il risultato della commistione di questi due fattori così diversi sulla carta è una performance sublime, per nulla inappropriata.
Proviamo a fare un resoconto più o meno organico dell’evento.
L’orario ufficiale di inizio sono le 21, ma ovviamente sei già là quanto meno un’ora prima. Nella piazzetta risorgimentale un manipolo di ragazzi tra i 20 e 35 (con eccezioni) a cavallo tra look total black e hipster-ma-non-dico-più-hipster-perchè-ormai-è-così-demodè si gode la piacevole temperatura di una giornata che prelude alle buone stagioni che verranno.
La fila all’ingresso è pressochè minima, il flusso è continuo, alle 21 il teatro è riempito.
Prima di Jaar ed Harrington il palco è tutto per Will Epstein. Il mood che si cerca di creare è chiaramente melanconico, atemporale, liminale.
Finito il side act altra piccola pausa, ma poi le luci si spengono di nuovo: è il momento dei Darkside.
La scenografia accompagna pedissequamente le climax ascendenti delle tracce presentate dal duo. All’inizio ci sono lucine fioche che ti fanno a malapena intravedere Jaar e nascondono del tutto Harrington. Il cileno butta giù un accenno di ritmo, poi attacca il synth, poi dall’altra parte del palco arrivano i primi rintocchi di chitarra. Si continua ad aggiungere layers per una buona decina di minuti, con conseguenti reazioni contrastanti tra il pubblico (qualcuno mugugna, qualcun altro aspetta il drop della traccia).
Finalmente il drop arriva, Jaar prende il microfono e parte con le lyrics di “Freak, go home”, sopra di lui un grande specchio simile ad un sole eclissato viene colpito da una luce bianca e, ruotando, la riflette sul pubblico, creando un elaborato gioco di tridimensionalità.
Psychic viene suonato praticamente per intero, l’ultimo pezzo è come da tradizione Metatron (la scaletta: “Freak, go home”, “Paper Trails”, “The only shrine I’ve seen”, “Heart”, “Metatron”), poi un breve ringraziamento e via dietro alle quinte per assistere in disparte alla doverosa ovazione. Ma non può finire così, Nico e Dave (forse per i tanti applausi, forse l’avrebbero fatto comunque) tornano alle loro postazioni e rendono la loro versione di “Golden Arrow”. La traccia va scemando, il palco è oramai abbandonato, lights on.
Sarà la location, ma il concerto è uno di quei live acts che lasciano il segno. Per un appassionato di Jaar e Darkside è l’esperienza che non vuoi perderti, perché sai di non essere lì solo per risentire l’EP (per quello basta Itunes), ma per assaporare tutta quella sperimentazione che accompagna le tracce, quei tanto odiati “10 minuti di noia” da qualche amico che mi aveva accompagnato.
Un grazie speciale al Club2Club, che si conferma sempre di più uno degli eventi più fecondi del panorama elettronico di tutta europa, che non a caso porterà a Torino a fine aprile due icone come Oneohtrix Point Never e Jon Hopkins.