A 18 anni sono andato in interrail con Tommaso. Ho comprato una piccola moleskine in cui ogni giorno entrambi raccontavamo a noi stessi, più grandi, quello che avevamo visto e fatto. Parlavamo anche di noi e di come ci sentivamo durante il viaggio. Io facevo pure dei disegni. Tra Praga e Bratislava abbiamo lasciato la moleskine in treno. Il giorno prima Tommaso si era fatto rubare soldi e macchina fotografica in treno tra Varsavia e Praga. Arrivati a Bratislava mi sono fatto multare da dei poliziotti stronzissimi perché fumavo sulla banchina della stazione. Di quel viaggio non rimane alcuna testimonianza visiva o scritta e la camicia che indossavo quando rimediai un bacio da una ragazza con un nome tipo Fruji o Friji a Budapest non so più dove sia.
Due anni dopo siamo andati a fare un trek di una decina di giorni sull’altavia numero 1, sull’Adamello. Ci siamo portati un piccolo quaderno in cui scrivevamo a turno sulle cose viste e gli altri alpinisti conosciuti nei rifugi. Credo sia andato perduto anche quello.
Dopo quei primi viaggi non siamo riusciti a farne altri. Il fine settimana si suona e d’estate si registra. Questo, almeno, mi piacerebbe documentarlo. Abbiamo foto delle registrazioni a Vejano, qualche intervista e qualche instagram ma pochissimo sui tour. Così, avendo chiuso il booking del nostro primo giro di cinque date consecutive ho chiesto a Emiliano della nostra etichetta (42 Records) di trovare qualcuno che volesse pubblicare un eventuale diario del tour o un reportage fotografico.
Quello che segue è quindi sia un resoconto dei fatti che un messaggio a noi stessi da vecchi e noiosi. Le foto sono di Gianlorenzo Nardi tranne quelle di Torino che sono di Elisa Muntoni e quella di Margherita a Varese che è di Riccardo Montanari. Il video è stato girato e montato da Daniele Piccoli per l’associazione culturale Red Box di Varese.
Anche noi siamo stati divertenti.
Giorno uno, La Touran
Viaggiamo in una Volkswagen Touran grigia che appartiene alla famiglia di Adelaide (in foto). Adi è la seconda di quattro fratelli, la sua famiglia usava la macchina per fare lunghi viaggi in Sicilia, adesso la usiamo quasi solo noi. Per la prima volta dopo tanto tempo si aggiunge anche Lorenzo. Suona per noi il clarinetto e l’organo a tutte le date a Roma ma siccome ha molti lavori e gruppi paralleli non può quasi mai venire in tour, infatti dopo Firenze e Bologna ci abbandona.
Siamo sull’A1 in direzione Firenze, suoniamo in piazza Santo Spirito. Poco dopo Orvieto, esplode la gomma posteriore destra della macchina. Sbandiamo leggermente ma Tommaso -“non ho mai avuto paura in vita mia” mi disse mentre percorrevamo la cresta di chissà che montagna durante il trek- ci adagia sulla corsia di sorpasso. Ok, nessuno s’è fatto male, non può succedere niente di male, i tir che ci sfrecciano accanto NON ci speroneranno, troveremo prima o poi il triangolo segnaletico.
Ovviamente va tutto bene. Il tipo del soccorso autostradale ha un’officina a Orvieto dove per fortuna c’è una gomma usata che ci vende a pochissimo. Fumo una sigaretta con Giorgio e ripenso a quello che è successo. Con lui suono da un sacco. Facevamo già tour con i Jacqueries, il nostro primo gruppo, sciolto qualche anno fa. Saranno 8 anni che suoniamo insieme. Minchia. Prima o poi doveva succedere una roba così e comunque sti cazzi stiamo tutti bene, magari così per qualche altro anno saremo invincibili però ogni tanto ci pensi alla fine che hanno fatto gli Exploding Hearts eh.
Una volta mio padre mi fece notare che sarebbe difficilissimo spiegare lo sci agli alieni.
Quando sto in tour ci penso costantemente.
In questa foto venuta male aspettiamo il carro attrezzi. Diciamo che il nero rappresenta la sottile e continua consapevolezza della propria mortalità, a volte si nota di meno, tipo qui, un’oretta prima:
Quello a sinistra è Lorenzo, quello al centro è Giorgio, quello a destra sono io.
Giorno due, Giacomo Laser
”I tuoi testi sono brutti. Però sono belli, però sono brutti. Tu fai questa cosa, si, stai lì, suoooni, caaaanti, sei bravo! Il quotidiano, gli altri che ti guardano, si si, bello bello, però brutto, però va bene va bene. Ma tu… TU BALBETTI, SEI INFINITO, TU BALBETTI, SEI INFINITO.”
Giacomo Laser (o Gioacchino Turù, Steve Music, Christian Parigi, Palazzo Palazzi, nella sua anagrafe personale) è l’organizzatore del concerto di Firenze, andato benissimo (per questo non ne parlerò). Ci siamo sentiti al telefono un paio di settimane prima della data per capire come organizzarci. Lui mi parlò dei Cap’n Jazz e dei Broken Social Scene e io mi commossi; era come se vedesse solo il bello nel disco che abbiamo fatto e niente di quello che vorrei cambiare ora.
Giacomo vive con la sua ragazza Giulia (o Vanessa Vermuth) in una bellissima casa in collina da qualche parte a sud di Firenze. Passiamo il pomeriggio prima di partire per Bologna a saltare sul tappeto elastico. Parliamo di etichette discografiche antiche, mangiamo gelati, ascoltiamo musica e ci innamoriamo tutti quanti di lui. Ripenserò al balbettare per giorni, mi figurerò nell’atto di scrivere un manifesto della balbuzie, registrerò un album in presa diretta, viva le stonature, abbasso il bpm, mi farò dei pallini neri sotto gli occhi con l’eyeliner come fa Giulia.
Giacomo è un poeta e lo ha scritto sulla carta d’identità. Scrive sia canzoni che poesie e disegna. Le cose che fa sono tutte belle. Due giorni dopo, durante un viaggio apparentemente interminabile tra Varese e Torino chiedo ad Adelaide se si starebbe simpatica se fosse un’altra, Adi dice di no. Anche io dico di no. Siamo tutti innamorati di Giacomo Laser, viva Giacomo Laser!
Vendo un disco al Volume di Firenze
Tommaso, Gianlorenzo e Giacomo Laser in fila al lampredottaro di Porta Romana, Firenze
Gianlorenzo a casa Laser, Firenze
Giacomo Laser nel suo elemento: l’etere
Dopo la serata, lo stupendo Simone Lisi, scrittore amico di Giacomo, ha scritto questo pezzo sul nostro concerto:
“Fuori dal Volume, una Piazza, c’è Giacomo con il berretto da impresario che gli ho portato io da Boston e forse una mezza sigaretta che pende dalle labbra. Si muove con le spalle incurvate, si muove calcando i passi, com’è sgraziato Giacomo, ma non lo è per niente quando suona con Giulia, lui allora si aggira con il viso truce e il concerto deve ancora iniziare e non inizierà a breve che i Marcelli son tutti là fuori a mangiare la pizza con la fame degli adolescenti, con una fame e degli occhi di gente che ha vent’anni e forato la macchina mentre venivano qua da Roma. La prima cosa che dico loro è che la voce di Marcello è tutta diversa da come pensavo fosse, pur essendo di fatto riconoscibile a quella già sentita nell’album. E’ quella stessa voce, ma è pure un’altra. Faccio il mio ingresso nel mondo delle interviste ai musicisti con questa cazzata qui.
Il concerto poi va bene. Loro sono bravi, tanti là sul palco, e reggono bene la stanza stretta, angusta, gli americani seduti nelle prime file, reggono bene la loro giornata lunga cominciata in un’altra regione. Suonano il loro pezzo tormentone senza farne un caso, quando gli viene richiesto. Diana allora se ne può andare contenta e io rimango là, tra le prime file in ordine a dialogare con Giacomo ancora impresario che finalmente comincia a rilassarsi e tutto semplicemente va bene. Poi il concerto è finito e noi usciamo là fuori, la Piazza, dove si parla dei nostri progetti, brevissime interviste, calcio, In Fuga dalla Bocciofila, e altri progetti ancora, con quel modo che abbiamo noi di parlare delle cose ultimamente e così poi continuiamo a parlare con questi ragazzi di Roma che non hanno trentanni, che mi parlano di S.Lorenzo, del Pigneto lontano, di come si sono conosciuti Tommaso e Marcello, una volta tanto tempo fa che quest’ultimo ancora non parlava italiano e andava alla casa al mare, ad Albinia, ad Anzio, qualcosa con la A., non mi ricordo e là ci stava –sì, ci stava, nel senso che c’era– anche Tommaso che già allora giocava a calcio di Cristo, come ora, che gioca come un’olandese, come Crujff, e là al mare nemmeno diventarono amici, solo si videro di sfuggita e parlarono la lingua internazionale del calcio o dei bambini e semplicemente costruirono i presupposti per l’incontro del futuro, quello sul Lago Trasimeno, in una minuscola isola dove si davano appuntamento i musicisti di mezza Italia o del centro Italia. Così là si riconobbero, ma anche quella volta finì là. Poi ci fu un terzo momento che avrebbe fatto di loro un loro specifico e un gruppo, ma di quello non abbiamo parlato, che qualcosa deve essere sopraggiunto, forse c’era da spostare la macchina perché pulivano le strade.
Poi Neri ha fatto i tarocchi, poi Giacomo e Giulia hanno suonato così bene, come una coppia alla Fitzgerald, come suonano bene quando non possono suonare che mezzanotte è passata e loro continuano a farlo pianissimo quasi al rallentatore o nel replay della moviola, e poi erano le tre ed era già mercoledì e domani c’era del resto da lavorare, quindi si andava a casa a fare una canna anche se io avevo proposto una tisana ed ero stato ringraziato, cortesemente, ma no, la tisana non la vogliamo che comunque siamo in tour e potremmo al limite drogarci e scopare, ma mai bere una tisana depurativa prima di dormire. Si parlava allora di letteratura, di Buzzati, di Un amore.
La mattina Marcello si presentava in cucina con la sua faccia appena sveglia quasi inglese e mi raccontava le ultime cose, come se io stessi facendo un’intervista a lui, e in effetti era così, ma mi chiedeva anche di me, della mia vita, delle mie mattine, del mio yoga e del mio ufficio, di questo quartiere, come se non facessimo interviste o non interviste di un certo tipo. Poi io uscivo di casa e gli spiegavo di chiudere bene la porta quando uscivano. Cominciava il mercoledì.”
Giorni due e tre, Giallo
Stefano e Giacomo dei Clever Square, amici di internet di Giallo, fuori dal Lestofante, Bologna
Gianlorenzo in realtà si chiama Giallo, suona nei Marcelli dal 2011 (prima oboe, adesso oboe e basso). Questi anni sono stati per lui soprattutto quelli della scoperta dell’indie rock. Gianlorenzo fino al 2009 (a parte i Beatles e pochi altri) non aveva praticamente mai ascoltato musica leggera. Negli anni successivi ha cominciato a vivere su internet. Dopo una prima fase di indie rock acustico tipo Magnetic Fields e Belle and Sebastian si è spostato sulla psichedelia americana e la scena di Canterbury. Ha fatto il nerd su Rate Your Music, si è fatto Last.fm. Poi ha scoperto gli anni 90 e la psichedelia matta: prima i Neutral Milk Hotel e tutto l’Elephant 6, poi i Guided by Voices. Ha cominciato a bere -no genitoridigiallo, non è un alcolista-, ha cominciato a uscire la sera, si è comprato la maglietta degli Olivia Tremor Control sul sito ufficiale, ha smesso di tagliarsi i capelli, ha smesso di farsi la barba, si è fidanzato.
A sinistra Giorgio, al centro Giallo, a destra Nicola, gestore del Lestofante, Bologna
Il ragazzo è sbocciato e noi ce ne siamo accorti tardi. Dopo anni di timidezza dal sapore un po’ liceale (La notte dei miei 18 anni, mentre noi bevevamo Gotto d’oro in salotto, Gianlorenzo consultava un dizionario etimologico inglese da solo nello studio di mio padre) Giallo è diventato un mezzo mondano. Suona la chitarra, ascolta musica psichedelica pazzissima, fa battute, tiene banco.
A Bologna (Si anche quel concerto lì è andato bene quindi non vedo perché parlarne) gozzoviglia coi Clever Square, indierockers di Ravenna, a Varese fa una mezz’ora di stand up comedy alla Maurizio Milani sui metalli brutti. Varesini e Varesotti ridono come se non fossero quasi svizzeri.
A pranzo da Vito a Bologna prima di partire per Varese con Carlo (il ragazzo che ci ha ospitati), Sara dei Fucking Shalalas (con Francesco, il loro manager), Maolo dei Sin/Cos (ex Quakers and Mormons e My Awesome Mixtape).
Piscina, Bossa Nova, Coro Alpino al concerto di Varese
Disegno di Adelaide su monologo varesino di Gianlorenzo
Ah, a fine serata il figlio/la figlia di qualcun altro ha vomitato.
Giorno quattro, Il Fumo, Torino
Giorgio e Tommaso alla Vetreria di Torino
Siamo in macchina, Adelaide, Giallo e Giorgio dormono nei sedili di dietro, Tommaso guida. Stiamo entrando a Torino sull’autostrada drittissima, abbiamo dormito poco e il sole tramonta. L’autoradio è rotta da sempre (il riscaldamento e lo sbrinatore pure). Tommaso ed io chiacchieriamo pigramente. Penso a come Gianlorenzo sia cambiato negli ultimi anni, penso pure a Giacomo Laser e a come si diventa poeti (io non potrei, nella mia nuova carta d’identità ho deciso che farò scrivere “cantante”). Tommaso ed io parliamo dei debiti verso se stessi, della coerenza, di quanto sia pesante continuare a fare qualcosa perché la si è sempre fatta (Tommaso è uno studente brillantissimo di fisica, non può non pesargli mai). Parliamo della libertà individuale e della necessità di contraddirsi per viaggiare più leggeri, come se la leggerezza fosse la nostra condizione naturale, piuttosto che la pesantezza che ci imponiamo credendo di far piacere a qualcuno. Sembriamo la parodia del testo di Per Mikhail, ma è molto bello parlare così ogni tanto e fa davvero bene. Quando gli altri si svegliano gli dico che gli voglio bene e mi viene da piangere, ubriacato più dalla stanchezza che dal vino bevuto a pranzo.
Attraversiamo Torino, arriviamo al locale, portiamo la roba sul palco, aspettiamo, facciamo il check, mangiamo, aspettiamo, suoniamo, un’amica di Colapesce compra un disco, smontiamo, usciamo.
Quella sera mi sono fatto la mia prima canna. Mi ero promesso che non lo avrei mai fatto quando avevo tipo tredici anni e da allora ho sempre detto di no, nonostante non abbia mai avuto niente in contrario, nonostante mi sia già capitato di mangiare roba contenente THC. Era un problema di forma: siccome avevo giurato che non mi sarei mai fumato una canna allora non l’avrei mai fatto.
Ho chiamato Mikhail, si è offeso che io l’abbia fatto senza di lui.
Ho mangiato un kebab, manna dal cielo.
Ho dormito come un sasso.
Io e Adelaide alla Vetreria di Torino, stanchi e sobri
Giallo alla Vetreria di Torino
A fine serata un altro figlio/figlia di qualcun altro ha vomitato.
Giorno 5, Floppare
Margherita applaude al concerto di Varese
Stiamo seduti a un tavolino fuori dal Tesla Science Bar di Montelupo Fiorentino. Ci siamo teletrasportati lì appena è finito il concerto. Io e Giorgio beviamo vodka tonic, Adelaide un mojito alla liquirizia, Tommaso e Giallo non ricordo. Il concerto è andato parecchio male e ci stiamo chiedendo perché. Quelli del locale ci dicono che un altro locale in zona, generalmente chiuso di sabato, ha messo una serata con tre drink a 10 euro quindi presumibilmente la loro clientela sta tutta lì. Io non credo che il problema sia l’affluenza. Tutto sommato il numero totale di persone nel locale sarà stato di poco inferiore a quello dei nostri ascoltatori a Varese la sera prima, la miglior data del tour.
Fare concerti è una roba da matti. Le variabili che portano un concerto a essere una bomba e un altro un flop (dove si intende flop non solo come scarsa affluenza ma proprio scarsa empatia tra artista e pubblico) sono imprevedibili e tantissime. Eppure in teoria sarebbero proprio quei 45 minuti di concerto a legittimare il resto. In teoria quei 45 minuti permetterebbero di spiegare lo sci agli alieni.
Come si fa a prendere come chiave di volta del carrozzone Marcelli qualcosa di così fragile? Ne parlo con Adelaide quella sera, sono stranamente scosso, più del solito. Forse sono solo molto stanco ma sul serio mi sembra di essere davanti a un bivio importante. Se giustifico l’andare in tour col divertimento posso stare tranquillo sul corto termine ma mi sembra assurdo perseverare in un’attività così effimera a lungo; se misuro la legittimità del mio lavoro come artista itinerante con l’impatto emotivo che ho l’impressione di avere su quelle 2-3 persone -importantissime- che nonostante siano venute a questo bar giusto per farsi una biretta e un paio di risate comunque ci stanno ascoltando sul serio e magari posso pure convincermi che qualcuno si sia commosso allora quando va bene va benone e quando va male non mi rimane niente a cui appigliarmi.
A distanza di una settimana dimentico tutto. Il fantasma del floppone torna nell’ombra, Giallo sviluppa le foto, racconto aneddoti alla mia ragazza, dormo qualche ora in più, sto bene, mi aggiorno sulla crisi in Crimea, mando mail a professori.
Ricordo quando eravamo divertenti.
Grazie a Giacomo Laser, Giulia, Simone, Diana, Neri, Nicola e tutti i lestofanti, Carlo, Maolo, Riccardo, Margherita, Caterina, Elisa, Lorenzo, Irene, Umberto e i ragazzi del Tesla, Stefano, Biondo, tutti quelli che ci sono venuti a sentire.