È uscito il 1° Aprile il terzo disco di Giuliano Dottori, L’Arte Della Guerra Vol. 1. Questo il track by track.
Quando tornerai a casa
Il disco “Temporali e Rivoluzioni”, nel 2009, finiva con la parola “casa”. Nel 2012, dopo aver pubblicato e promosso l’Ep “Fantasmi”, realizzai una serie di video interpretando in acustico sei brani miei e due cover: il progetto, guarda caso, si chiamava “Casa”. Mi è sempre piaciuto pensare ai dischi e alle canzoni come un racconto continuo in cui ogni capitolo aggiunge qualcosa o sviluppa quanto scritto in precedenza. Un po’ come nei fumetti, in cui lasci Dylan Dog mentre scrive il diario e lo ritrovi il numero successivo che suona il clarinetto in salotto. Questa canzone doveva aprire il mio nuovo disco, come a dire, ripartiamo da dove ci siamo fermati l’ultima volta. Inoltre è un brano di cui Mauro, Marco ed io siamo particolarmente orgogliosi, perché musicalmente molto ricco (sono quasi tre canzoni in una) e sarà una sfida ogni volta suonarlo dal vivo.
Estate #1107
Giunto alla fatidica soglia del terzo disco mi sembrava giusto scrivere un pezzo che si chiamasse “Estate”. È una cosa, si sa, da cui passano tutti i cantautori prima o poi. Per questo ho aggiunto nel titolo il numero seriale, come ad ammettere “ok, lo so, è l’ennesimo pezzo sull’estate”… la Siae mi ha detto che prima della mia ce n’erano altre 1106. Così questa è la millecentoesettesima canzone che si intitola “Estate”. Ho voluto però ribaltare l’immaginario classico, quello secondo il quale la bella stagione è passata da poco, scrivendo una canzone non incentrata sui ricordi, ma tutta spinta verso il futuro.
Le vite degli altri
Una canzone nata da ricordi di camminate notturne a Milano, di notti da ubriaco in bicicletta a guardare in sù, in Piazza della Repubblica, in Ticinese. Una canzone nata dallo scoprire che ognuno di noi nutre una curiosità morbosa nello spiare i vicini di casa, che dentro ogni casa c’è un universo e dentro questo universo ci sono persone come noi, abitudini come le nostre, manie.
(La Nave)
Un brano strumentale, per la prima volta. Ho sempre amato i momenti di pausa dentro un disco. Li amo ancora di più oggi che la musica viene mangiata e digerita in pochi secondi e il ritornello deve arrivare al quarantacinquesimo secondo. Salvo poi restare sempre a bocca aperta quando arriviamo alla traccia 7 di “Heroes”.
L’arte della guerra
È uno degli ultimi brani scritti. Era lì. Sapevo che sarebbe arrivato, ma non sapevo quando. Così ho fatto una cosa che non ero più abituato a fare: ho aspettato senza fare niente. Tutto qua. Un giorno di settembre mi sono seduto al pianoforte e in dieci minuti di orologio il pezzo era finito.
Il mondo dalla nostra parte
Non volevo scrivere l’ennesima canzone su un amore finito (anche perché avevo già scritto l’ennesima canzone sull’estate), così è venuto fuori questo brano che parla di crisi e parla della voglia di lascarsi alle spalle tutti gli errori e le miserie del passato. È forse il brano più solare che ho mai scritto, con un incedere martellante e i clap delle mani che fanno festa. È un’altra canzone che parla al futuro.
Occhi dentro gli occhi
Poi però la canzone sull’amore finito è arrivata lo stesso. Ma è un’anomalia, un abbaglio pieno di musica e suggestioni. È un “molto tempo dopo”, è una presa di coscienza fredda e lucida. Anche qua sono tre canzoni in una, prima quella classica strofa e ritornello, poi un interludio strumentale che mescola Patrick Watson, Arvo Pärt e Hans Zimmer, infine una coda con un coro alla Grizzly Bear. Ne sono molto orgoglioso.
I fiori muoiono quando ci rattrista perderli
Mi sono innamorato all’istante di questa piccola poesia Zen (il cui secondo verso recita “e le male erbe spuntano quando ci rattrista vederle crescere”). Anche perché è una grande verità. Uno dei pochi casi in cui ho scritto un pezzo conoscendone da subito il titolo. Ne è venuto fuori un volontario e consapevole omaggio a uno dei dischi italiani migliori di sempre, “Rimmel”.