L’album di debutto di SZA è una silenziosa rivelazione. Senza alcuna clamore giornalistico né la pretesa di aver sfornato il lavoro dell’anno, l’artista californiana si è pian piano fatta conoscere nelle piccole nicchie del web con una grazia naturale, in punta di piedi, pur avendo alle spalle produttori che tuonano come Toro Y Moi o Mac Miller e collaborazione all’attivo che vanno da Chance The Rapper a Kendrick Lamar.
Z è un lavoro che ha del futurismo implicito: la mescola di generi utilizzati, le corde dei cuori toccati, l’andamento vocale non sono ascrivibili ad un solo genere (R’n’B, sarebbe facile) e nemmeno ad una sola artista. In SZA è come se convivessero più personalità contemporaneamente, talvolta più inclini al rock, altre al blues, mai aggressive e sempre posate.
SZA non solo è l’unica donna a far parte della Top Dawg Entertainment, etichetta non troppo anziana ma che vanta la pubblicazione di nomi come AB-Soul, Kendrick Lamar e Schoolboy Q, ma è anche una promessa mantenuta a dispetto di chi non avrebbe scommesso un penny su di lei che un anno fa lavorava tra gli scompartimenti cosmetici di Sephora. La ragazza inanella delle ballad neo romantiche come Warm Winds con perle molleggiate alla Babylon, si fa accompagnare dalle note spaziali di XXYYXX in Childs Play e presta la voce al giradischi nella jazzy Sweet November.
L’opera futuristica trova il suo compimento nella perfetta riuscita di accostamenti tanto diversi eppure efficaci, a volte appena percepibili, nascosti tra le note che si rivelano solo all’ascoltatore più attento. Il progresso incontra la classicità della voce, la meccanica la vivacità culturale. Per citare Billboard “It sounds like Jill Scott in a pillow fight with Jessy Lanza”.