Vi ricordate il manga Le situazioni di lui e di lei? Ecco da dove prende ispirazione il titolo di questo report. Con questo lungo, articolato post vogliamo offrirvi una buona panoramica (non pretendiamo completa, sarebbe impossibile!) di ciò che è stata l’edizione appena passata del Primavera Sound. E per farlo ci avvaliamo di due punti di vista diversi, uno femminile (Valentina), l’altro maschile (Tony), il tutto completato dagli splendidi scatti della nostra Flavia che ha immortalato i momenti migliori di quest’anno.
Le istruzioni di lettura, come in un libro-game, non esistono. Potete leggere tutto il resoconto dei 3 giorni fatto da lui, poi confrontarlo con quello di lei. O ancora, fare staffetta da lei a lui, di giorno in giorno.
Insomma: buona lettura.
INTRO
LUI
Secondo le statistiche, in media nel mese di Maggio a Barcellona piove 5 giorni su 31. Evidentemente nel 2014 questi giorni si sono concentrati tutti durante la settimana di svolgimento della quattordicesima edizione del Primavera Sound. Poco male perché in fondo, come si dice, “Non esiste buono o cattivo tempo, ma solo buono o cattivo equipaggiamento”, e la voglia di musica vince comunque su tutto. Lo ha dimostrato ancora una volta l’entusiasmo, il “presobenismo” del colorato e caldo pubblico che ha affollato il Parc del Forum in occasione dei quattro giorni della manifestazione che oltre ad un lista interminabile di acts internazionali ha visto esibirsi anche i nostri C+C=Maxigross, Junkfood, LNRipley e The Vickers. Un paio di settimane fa vi abbiamo promesso resoconti dettagliati e fantastiche foto e, come sapete, Shaq mantiene sempre le sue promesse. E via che si va.
LEI
Avevamo lasciato l’anno scorso Barcellona con i brividi, veri rattle-rattle di vento e freddo. E con brividi torniamo – e i brividi, anche loro, tornano. L’edizione 2014 del festival spagnolo non risparmia i suoi 190.000 spettatori e offre acquazzoni, raffiche di vento e freddo. Perciò partiamo da qui, dal tempo. Perché il tempo, ce lo sentiamo davvero di dirlo, è una delle possibili chiavi di interpretazione del Primavera Sound di quest’anno.
Gli anni, il passato, lo sguardo indietro. La line-up della quattordicesima edizione del festival s’è subito meritata – e a ragione! – l’appellativo di “classico”. Il senso di “classicità” l’hanno dato le reunion (Pixies, Slowdive, Neutral Milk Hotel), le vecchie glorie (Television su tutti) e pezzi da novanta come Arcade Fire, National, Queens of the Stone Age e Nine Inch Nails. Ancora più trasversale è il concetto di tempo se valutiamo come, tra i migliori concerti di quest’anno secondo noi, trovano posto musicisti che suonano da una vita e mezza e che ci hanno letteralmente lasciato a bocca aperta. Ok, ora iniziamo.
Mercoledí 28 Maggio 2014
Come è consuetudine il primo giro di musica del festival lo offre l’organizzazione stessa con la serata d’apertura ad ingresso gratuito.
Mi congratulo con me stesso per il tempismo che mi permette di perdere completamente l’esibizione di Stromae mentre una Sky Ferreira in look dark 80s attende sul palco ATP sotto una pioggia insistente. Un occasione mancata visto che la sua esibizione é interrotta più volte da problemi tecnici e false partenze, il che è un peccato perché la voce, le canzoni e soprattutto la presenza scenica ci sono tutte. La pioggia incessante però ha la meglio e mi fa decidere di ritornare all’asciutto lasciando gli headliners, i nostri amici Holy Ghost!, al loro destino.
A domani Primavera, ma per davvero!
Giovedì 29 Maggio 2014
LUI
Il Primavera per come lo conosco ed amo si presenta finalmente all’apertura dei cancelli sotto un sole caldo e rincuorante mentre gli arpeggi delle chitarre dei Real Estate, sul palco Heineken, fanno da colonna sonora ideale per questo mio primo pomeriggio di musica. In rapida successione i Midlake partono sul palco Sony, quest’anno posizionato direttamente davanti al suo gemello Heineken, e ricreano in maniera perfetta le raffinatezze del loro ultimo album Antiphon anche se è il loro piccolo classico Roscoe che raccoglie gli applausi più convinti. L’esibizione della Sun Ra Arkestra è un appuntamento con la storia che non posso assolutamente perdere anche perché l’Auditori del Parc del Forum, nel quale si esibiscono, riserva ogni anno le emozioni più forti. Il concertone infatti è da pelle d’oca, viscerale e trascendente al tempo stesso e si chiude con una eterea ed ipnotica Space Is The Place.
Ritorno ancora sotto l’effetto dell’Arkestra verso l’area Heineken-Sony passando per il palco Pitchfork dove si esibisce una della band più attese del cartellone di quest’anno, i Future Island del – a modo suo – carismatico Samuel Herring, uno strano incrocio tra Morrissey ed Henry Rollins dalla fisicità straripante e dalla vocalità fuori dal comune. Il tempo di ascoltare Seasons, una dei miei personali tormentoni di questi ultimi mesi, e la corsa continua verso il palco sul quale si esibiscono i Queens Of The Stone Age. Questa band può essere piuma e può essere ferro e le canzoni di … Just Clockwork offrono a Josh Homme e compari la possibilità di esprimersi tutta la loro dinamicità. Le atmosfere gotiche di quel disco vengono stemperate dall’inclusione di alcune delle loro hits piazzate in maniera strategica in una setlist che arriva alla inevitabile conclusione con la schiacciasassi Song for the Dead… si salvi chi può!
Basta girare i tacchi e subito, come in un sogno, ti trovi di fronte gli Arcade Fire in uno degli show più portentosi per dispiego di mezzi scenografici e luci al quale il sottoscritto abbia mai assistito. Interessante notare come le canzoni del loro debutto Funeral e l´ultima fatica Reflektor, messe a confronto in versione live, non siano affatto distanti per tiro ritmico e pathos ed alla luce di ciò le critiche negative che la band ha collezionato negli ultimi tempi sembrano abbastanza gratuite e pretestuose. L’affetto dimostrato alla band dal pubblico del Primavera, una marea umana danzante dalla prima all´ultima nota, è contagioso. Uno spettacolo nello spettacolo.
La mia serata di musica si conclude in bellezza con i Moderat sul palco ATP. Lo zoccolo duro di fans di cui possono vantare dimentica la sfortunata concomitanza con lo show dei Disclosure, solo ad un paio di chilometri di distanza, e rende il live-set davvero speciale. Sul palco una dimostrazione di precisione “Made in Germany” unita alla simpatia innata del trio ed al suono caldo ed organico delle loro produzioni ed è anche obbligatoria una menzione per i visuals del team Pfadfinderei, diventati ormai marchio di fabbrica e parte integrante del fascino che i Moderat esercitano. Ora posso andarmene a dormire contento. Buona notte, Parc del Forum.
LEI
E’ un Parc del Forum umido quello che apre i battenti. La pioggia, torrentizia il giorno prima, lascia grandi pozze. Il primo concerto al quale assisto è Rodrigo Amarante che sbalordisce con un mélange elegantissimo di bossa nova, carisma da perfetto chansonnier e momenti rock senza se e senza ma. Dicevamo: brividi, soprattutto con pezzi come Ribbon e Tardei, che raccoglie un sing-along trascinante. Ma è nell’Auditori che assisto al vero miracolo con la Sun Ra Arkestra. Quello che vediamo travalica la favella: mistico, gioioso, altissimo. Prendiamo in prestito questi versi illuminati dei Beatles: waves of joy/are drifting through my open mind/possessing and caressing me/Sounds of laughter shades of life are ringing through my open ears/Inciting and inviting me. Profondamente scossi da uno spettacolo che sarebbe potuto continuare all’infinito, si va da St. Vincent. Sempre più ossuta e nervosa tanto da sembrare una super-modella anni ’90, la texana ci offre un sunto splendido della sue capacità scrittorie farcite da assoli epici da guitar hero. Esempio illustre è Prince Johnny che entusiasma il pubblico e fa dire “ah, beh!” anche ai più “malfideti”. Badass!
Un veloce intermezzo dai Chvrches (ahimé, parecchio deludenti e noiosetti!) e una puntatina nella super-cupola di Boiler Room (grande novità di quest’anno, perennemente gremita di pubblico) con Fort Romeau prima di andare di gran carriera al palco Sony dove ci aspettano gli Arcade Fire. Ricordate il titolo della nostra playlist pre-Primavera – Seh, vabbé gli Arcade ? Ok, sono pronta a rimangiarmi tutto. Durante le due granitiche ore di concerto, Win Butler e soci ci hanno fatto ballare come non mai, facendoci perdere tutte le calorie del burrito ingurgitato durante la pausa-cena. Un concerto che sa di cerimonia e di celebrazione e che finisce in un tripudio di stelle volanti e coriandoli su Here Comes The Night Time. WOW. Riesco a godermi mezz’oretta scarsa dei Moderat, che confermano un grado altissimo di intensità, per poi spostarmi di poco verso i Metronomy: gran tiro e ritmiche in costante levare, con dinamiche super-seventies che mandano la folla in delirio. Divertimento assicurato, e pezzi nuovi tratti dall’ultimo Love Letters che dimostrano un’ottima resa dal vivo. Goodnight and goodbye, Parc!
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Venerdì 30 Maggio 2014
LUI
Una voce circolata con insistenza nel pomeriggio di ieri metteva in relazione l’arrivo del bel tempo con quello del duo Fatini&Ricci a rappresentare la capitale. La pioggia caduta per buona parte della terza giornata del Festival dimostra quanto questa voce sia stata ampiamente esagerata. Grazie comunque agli amici di Soundwall per averci provato. Musicalmente, il primo appuntamento da non mancare è quello con Julia Holter tra le mura accoglienti dell’Auditori. Lei ha l’aria da prima della classe un po’ altezzosa, bravissima comunque nel ricreare le atmosfere oniriche del suo album Loud City Song. Il bello del Primavera è che a distanza di pochi minuti puoi passare dall’esibizione di un artista come la Holter a quella di una band dichiaratamente pop come sono le sorelle Haim. Carisma unito a talento e canzoni pressoché indimenticabili già dopo il primo ascolto. Una rivelazione per molti tra coloro che hanno avuto la fortuna, e la lungimiranza, di assistere al loro concerto. Un futuro luminoso le attende, sono aperte le scommesse.
Una delle reunion più attese dell’edizione 2014 del Primavera è senza dubbio quella degli Slowdive. Dopo anni di uso improprio del termine “shoegaze” finalmente ritorna una delle band principali artefici di quel suono ed impartisce una lezione di stile e buon gusto, e pedaliere per chitarra. Uno dei concerti più emozionanti dell’intera manifestazione, su questo io e l’amica Valentina Ziliani siamo dello stesso parere, mentre Rachel Goswell si (ri)conferma front-woman, suo malgrado, di timida e maliconica bellezza. La loro cover di Golden Hair di Syd Barrett chiude nel migliore dei modi possibili la loro esibizione.
La maledizione del palco Pitchfork – tecnicamente uno dei più inaffidabili – arriva puntuale anche quest’anno e si abbatte sui The War On Drugs con dei problemi di monitoring che ritardano l´inizio del loro concerto, dopo di che il guitar-hero Adam Granduciel è inarrestabile. Per ascoltare le canzoni del loro ultimo Lost in the Dream dal vivo ho deciso di perdere l’esibizione dei Pixies e non ne sono affatto pentito. Amen!
Se prima dell’uscita degli albums Alligator e Boxer qualcuno avesse predetto ai The National un futuro da headliners di festival delle dimensioni del Primavera sarebbe stato preso per ingenuo o pazzo. Ed invece eccoli qua, a distanza di quasi dieci anni, davanti ad un pubblico adorante che conosce a memoria i loro testi, a dir poco ermetici, e li canta con abbandono assieme ad un inebriato, inarrestabile Matt Berninger, improbabile trascinatore di folle in occhiali impiegatizi, giacca, cravatta e gilet. Il desiderio di ascoltare England dal vivo, e cantarla a squarciagola, viene finalmente esaudito.
LEI
Torno sul luogo del delitto, quell’Auditori che il giorno precedente si è riempito di magia. L’ora non è delle più felici (le 4 del pomeriggio), e forse neanche Julia Holter avrebbe voluto essere collocata così presto. Poco importa: la sala è pressoché piena e la californiana, accompagnata da un quartetto jazz, ci delizia con le sue melodie oblique. Magnetiche Hello Stranger e Marienbad. Après Julia, le déluge. Venti minuti dopo la fine del concerto, si abbatte un violentissimo acquazzone che costringe tutti a ripararsi sotto la tettoia del Museo Blau: un mondo altro, velocissimo, si genera: desperados fradici, venditori di birra, chi ne approfitta per rifocillarsi e per fare cerchio attorno a un musicista di strada punk-rock con tanto di basi. Il delirio. Ne approfitto per prendermi un momento di pausa.
Arrivo puntuale per le Haim. Interessante capire chi è qui per ascoltare la musica o per rifarsi gli occhi. In medio stat DLSO: apprezzo con sincerità il grado di figume e le doti musicali delle tre che ci danno dentro come delle ossesse. Al termine, si guadagna un bel posticino per uno dei momenti clou del festival: il ritorno, dopo più di 20 anni, degli Slowdive. Innamorati cotti della bella Rachel, ci lasciamo cullare e iniziamo a sognare a occhi aperti. Sicuramente uno degli highlight di questo festival, soprattutto per la carica emotiva e l’evidente commozione (del pubblico e della band), con una grandissima Spannung personale durante When The Sun Hits. Tappa successiva con gli anni ’90 sono gli Slint, band attesa dal pubblico in religioso e surreale silenzio. Sarà stata la prima fila, sarà stato l’impatto dal vivo di canzoni che hanno accompagnato una bella fetta della mia vita – ma a stento trattengo le lacrime. Washer e Good Morning Captain sono le acque del Gange nelle quali lavarsi, David Pajo dio pagano da venerare. Momento da salvare nella cartella dei ricordi – a doppia mandata.
Si cambia completamente registro con i Darkside. Un viaggio interstellare con una scenografia di specchi e contrappunti improvvisi di cassa in 4/4: certo che il buon Nicolas Jaar conosce proprio la formula giusta per ammaliare il pubblico! Metatron e Golden Arrow completano la quadratura del cerchio. Un altro nome che sa gran bene come far muovere gli spettatori è SBTRKT, ancora più in palla e con un suono più da band rispetto a due anni fa, quando l’avevamo visto proprio qui al Parc del Forum.
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Sabato 31 Maggio 2014
LUI
La mia ultima giornata di musica inizia con gli spagnoli Jupiter Lion ed il loro potente miscuglio di drone e kraut-rock per poi passare al West-Coast sound di Jonathan Wilson, uno degli artisti più completi ed interessanti usciti fuori dal panorama musicale statunitense negli ultimi anni. A seguire una delle reunion più attese del Primavera di quest’anno ovvero il ritorno dei Television con il loro classico album Marquee Moon. Gli intarsi di chitarre che questa band è ancora in grado di produrre sono la dimostrazione che le operazioni di questo genere, quando sono fatte con i presupposti giusti, sono cosa buona giusta e mettono a tacere i cinici, le malelingue e gli hipsters.
Caetano Veloso è un altro mostro sacro, la sua esibizione pura gioia per le orecchie e per gli occhi con il pubblico che gremisce l´area del Ray-ban stage a dare il meglio di sé. Indimenticabile. Deludono un po’ i Volcano Choir con Justin Vernon che spinge aldilà del tollerabile i giochini con il Vocoder e le sue altre “macchinette” per la voce. O forse è solo la mia stanchezza che comincia a farsi sentire?
Raccolgo le ultime forze per seguire una ipercinetica esibizione di Seun Kuti e degli Egypt 80. Il giovane Kuti esprime la sua rabbia in maniera esplicita senza paura di fare nomi e cognomi. L’afrobeat è vivo e vegeto e, anche grazie all’erede del leggendario Fela, continua ad essere uno dei generi musicali piú politici in circolazione. Aspettando Tony Allen il prossimo anno…
Decido di congedarmi da questa edizione del festival più bello del mondo sulle note dei Mogwai. Tracce scelte dal loro ultimo Rave Tapes vengono alternate a perle del loro vasto repertorio. Un concerto profondo, coivolgente. Fuori dalle transenne del Parc del Forum la vita continua fino al prossimo anno, quando il Primavera compirà quindici anni e sono sicuro ci riserverà altre grandi sorprese. Good night, and good luck Valentina.
Over and out.
LEI
Hey, ma quello è il cappellone di Pharrell? No, è quel super-hippy di Jonathan Wilson. Bellissimo concerto il suo: chiudendo gli occhi si aveva l’impressione di cavalcare nelle praterie del West. Country-psichedelico suonato con tutti i santi crismi, non c’è che dire, con la suite Desert Raven come splendida epitome di un concerto che è un vero viaggio. Altro momento molto atteso, i Television con una performance dedicata a quel gran disco che è Marquee Moon, datato 1977. Appunto: 37 anni fa. Il tempo è passato, inutile negarlo, i ritmi nervosi di quei brani memorabili sono un po’ più lenti, la voce di Tom Verlaine pare un miagolio col graffio. Ma il pubblico balla e io telefono a mamma per renderla partecipe di questo momento storico. Sì, perché adesso sono i figli a dire ai genitori “oh, io c’ero”.
E poi arriva lui, Caetano Veloso. L’arena del palco Ray-Ban è gremita fino agli spalti: il pubblico ne ha ben donde e il concerto si rivela a dir poco una spanna sopra gli altri. Caetano, di bianco vestito, è generosissimo e lascia ampio spazio al gruppo che lo accompagna, sia stilisticamente (alcuni brani sono quasi noise!) che fisicamente, sul palco. Il risultato è una festa, un happening, un qualcosa che spazza via tutta la saudade possibile. Saudade che presto torna e che si trasforma in profondissima tristezza durante l’ora e quaranta dei Godspeed You! Black Emperor. Una messa spiritica accompagna la lentissima (5 pezzi, ragazzi, 5 pezzi!) caduta di una bomba nucleare: è qui che inizio ad avere visioni, svarioni, convulsioni. Sono bollente e ho le ossa doloranti: la mia è febbrona. Mi mangio il fegato e mollo il colpo.
Maledetto Primavera!, ti adoro. Mi dai un bacio sulla fronte dolorante mentre ti prometto, a occhi chiusi, che ci vedremo l’anno prossimo.
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Al prossimo anno ✌