Giacomo Gambineri è un cantastorie prestato all’illustrazione. Se gli fai mezza domanda, ti apre tutto il suo mondo. Se gliene fai una intera, ti fa entrare di diritto nel suo immenso universo. Qualche anno fa curava un piccolo blog di tenere storie vissute, oggi gli è capitata un’inaspettata sciagura: ha trovato un lavoro vero.
Chi sfila nella tua personale parata?
Direi principalmente io, chi ha scelto di seguirmi e tutte quelle entità che libero nel mondo tramite il disegno. Quanti siamo nessuno lo sa dire con certezza a dire il vero, le stime dei partecipanti e della questura differiscono di molto. Ma dopo tre anni di disonorata carriera posso affermare con certezza che abbiamo raggiunto il numero di partecipanti totali prefissato: la dozzina.
Sei molto basso? So che hai provato a diventare un nano da circo.
Se lo chiedi ai miei genitori ti diranno che sono alto e magro, ma non credo che il loro parere conti dal momento che sembrano appena migrati dalla Contea.
In realtà sono tristemente nella media, quella battuta sul nano da circo l’ho incautamente scritta in una vecchia bio per non ricordo quale giornale. Dovrei scrivere una smentita ufficiale, perché ora come ora quando vado a incontrare un nuovo art director vedo che ha sempre fatto portare uno sgabello nel suo ufficio.
Nella tua bio si legge “Sono venuto al mondo nell’esatto istante in cui Orson Welles l’ha lasciato”. Perché è un dettaglio rilevante nella tua vita?
È un dettaglio rilevante nella vita di mio padre. Negli anni si è dimostrato così entusiasta di questa coincidenza che per qualche tempo ho temuto avesse preso parte attiva alla morte di Welles oppure addirittura, grazie a qualche arcano rituale con api e fiori che non ho ancora ben compreso, alla mia nascita.
Ad ogni modo ammetto che mi diverto molto a poter dire con esattezza quando sono nato senza dover ricorrere ad alcuna cifra.
Su Flickr ci sono un sacco di sketch tra Giacomo studente e il suo professore all’università. Quanti di quegli episodi sono veri?
In ognuna c’è un fondo di verità. Quella del costume da pesce si rifà a un mio lavoro al salone nautico di Genova durante la lavorazione della tesi… Classico primo impiego di un laureando in design della comunicazione: gonfiare diecimila palloncini.
È durato solo una settimana, ma di seguito ho dovuto passare diversi mesi in una clinica di disintossicazione per inalatori di elio.
Hai mai esposto i tuoi lavori in una mostra?
Non è mai capitato, solo una volta ho trovato la mia prima mezza copertina per IL tutta scarabocchiata in un controverso vernissage, ma non credo valga. Anzi, credo che l’opera in questione fosse proprio aver deturpato il mio operato, per cui direi che vale meno uno.
Ci mandi una fotografia della scrivania su cui stai lavorando in questo momento?
Certamente, eccola.
Perché hai smesso di aggiornare il diario su Blogspot? Le tue storie di allunaggi e omini in ascensore tenevano un’ottima compagnia.
Ho smesso di aggiornare MOP per via di un avvenimento tragico che nessuno aveva previsto: ho cominciato a lavorare.
Ora il tempo sembra non bastare mai e per i blogger verbosi, cerebrali e perfezionisti vale la regola che vede produzione e promozione come grandezze inversamente proporzionali. Per questo ora tutto ciò che è “insta” la fa da padrona, Twitter ha fagocitato Blogspot così come Instagram ha fatto con Flickr.
A quei pochi seguaci rimasti là fuori a brancolare tra le rovine del blog ripeto che le coordinate del tesoro sono “@gambineri” dimenticate la x: ora è la @ a indicare il punto dove scavare. Comunque lo ammetto, per quanto i 140 caratteri di Twitter siano un confortevolissimo vincolo, mi manca la parata, con il suo prolisso sminuirsi ad ogni passo. Ma non temere mondo: presto la mia fortuna lavorativa scemerà e tornerò a scrivere Pezzaliani chilometri di lettere.
Cosa si prova quando ti arriva una mail dal The New York Times in cui ti chiedono di illustrare per il loro giornale? Più o meno quello che si prova quando ti arriva una richiesta di intervista per Passaporto?
Credo sempre che ogni mail che ricevo sia uno scherzo. Beh, forse non proprio tutte, ad esempio ho uno splendido rapporto di penna con diverse ragazze ucraine che scrivono in maniera sgrammaticata. Ad ogni modo non ci ho creduto, anzi tutt’ora nessuno ha smentito la mia teoria secondo la quale sia stata mia madre a organizzare tutto. Mi vede così magro e emaciato che farebbe di tutto per tirarmi su (oltre al consueto sgabello intendo).
Se non sei ispirato a disegnare e di dormire non se ne parla, cos’altro ti metti a fare in treno?
A dirla tutta in treno non sono mai stato capace di addormentarmi, neanche nel folle periodo da pendolare quotidiano Genova-Milano. In treno, quando non devo lavorare, amo molto leggere; per me i libri non sono più suddivisi in capitoli, ma in stazioni. Il mio rituale da viaggio consiste nel comprare sempre una bottiglia d’acqua e un fumetto in stazione. Il fumetto è la mia cheerleader personale: mi distrae durante l’attesa della partenza. Una volta comodamente seduto (chi bazzica gli interregionali ha il diritto di cogliere il sarcasmo pungente) arriva il momento della lettura. Anche quando devo lavorare, sono vittima di questa idiosincrasia: se il treno non è in movimento non comincio.
Se ti dico Dance Like Shaquille O’Neal, cosa mi disegni?
Direi forse una cosa del genre, ma meglio.