È passata poco più di una settimana dalla mia ultima giornata di Flussi e solo adesso ho ritrovato una certa lucidità per mettere nero su bianco.
Da mercoledì a sabato il susseguirsi degli acts è stata una vera e propria battaglia sonora, e non parliamo di buone vibrazioni, ma vibrazioni dell’oscurità, quelle che hanno “il potere di radunare persone, ma anche di isolarle” diceva Steve Goodman in un’ intervista.
Anche per quest’anno tante conferme per un festival che osa in sperimentazione come nessuno in Italia, basterebbe anche solo leggere la line-up per credere.
Partiamo subito dalle sorprese: primi su tutti gli Sculpture, immersi tra campioni, sound design e psichedelia visuale, qualcuno la chiama opto-music, e sembrerebbe calzare a pennello; poi c’è Shelley Parker, la producer londinese che mette all’angolo tutti i maschietti scettici, bass, industrial e sperimentazione, sembra sentire Blawan con una lunga chioma nera ma senza l’attitudine da dancefloor. Difficile poi mettere in ordine gli headliner delle varie sere, il livello dei vari set è stato altissimo. Per esempio il concetto che gira attorno al live, nonché disco di Roly Porter, “Life Cycle Of A Massive Star”, cioè la nascita, la vita e la morte di un sistema solare, diventa abbastanza difficile da spiegare solo con le parole, bisognerebbe essere sotto cassa per capirne e sentirne le vibrazioni. Stessa cosa si potrebbe dire del live in teatro di Fennesz con il supporto visuale di Lillevan, noi arriviamo tardi, il teatro è totalmente pieno, ci accorgiamo subito di trovarci di fronte ad uno dei momenti più alti dell’intero festival: il rumorismo di Fennesz alla chitarra placato di rado da paesaggi elettronici e dai visual liquidi sembrano essere in qualche modo il sunto degli ideali della manifestazione irpina.
Sul podio con la medaglia di bronzo troviamo senza dubbio la paladina dell’Hyperdub, Laurel Halo, che prima ci affonda nel suo sound, poi ci fa pure ballare, insomma un live completo e per tutti gusti. Anche l’occhialuto Clock DVA non ha scherzato affatto: nella prima serata in terrazza del festival trasforma Avellino nella Sheffield degli 80s, tute bianche, vocoder e incubi metropolitani, il pubblico gradisce e non poco, il sorrisino accennato da Adi Newton a fine live ne è la riprova.
Si piazzano al primo posto i Demdike Stare con la sonorizzazione del film muto del 1922 Häxan “La stregoneria attraverso i secoli”. Silenzio assordante all’interno del teatro Carlo Gesualdo, si torna al medioevo, sullo schermo scorrono danze rituali, banchetti con i diavoli e vecchie streghe che baciano il didietro al maligno, i Demdike creano con sapienza atmosfere e ambienti, amalgamando campioni originali del film alle loro abissali sonorità. L’immersione nelle immagini è totale, l’esperimento è un successo.
Il supporto da parte di tutti è necessario per la buona riuscita di un festival che come pochi in Italia , ma sopratutto al sud, riesce a portare una ventata di freschezza e di innovazione sia dal punto di vista tecnologico che culturale.
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