Forse non sapete, perché sicuramente non ve ne frega niente, che mi sono trasferito a Milano. Tra i tanti vantaggi fino ad ora percepiti, c’è stato quello di poter partecipare alla prima, al rilascio ufficiale di “Mantra” dal vivo, al Par 5. “Mantra” è il nuovo disco da solista di Hyst, attore, rapper, artista in generale. “Mantra” è un lavoro complicato, per quanto molto classico. Sembra di capirlo abbastanza velocemente, ma se non lo si ascolta attentamente, per intero, si corre il rischio di fraintendere tante cose, di perderne ancor più. Per eliminare alla base questo problema, noi di DLSO abbiamo pensato di farcelo raccontare proprio da Hyst, in una lunga chiacchierata sull’album, sulla sua progettazione ed esecuzione.
Tayo, inizierei proprio chiedendoti: perché “Mantra”?
Prima di tutto ho scelto la parola mantra perché volevo un titolo che fosse una sola parola, perché, avendo l’idea grafica in mente da un po’, volevo ci fosse questo senso di unitarietà. Nella grafica compare anche il cerchio, che è sia il cerchio dei mandala tibetani, sia quello dello zen. Il cerchio è una figura geometrica troppo sottovalutata negli in questi tempi, negli ultimi anni, nel rap ha prevalso solo il triangolo e quindi ho deciso di riportare in auge il cerchio. Tra le parole che potevano avere una forza esoterica, sciamanica, mantra (senza alcuno strano gioco di parole, o di acronimi) era quella perfetta. Mantra è una preghiera che diventa azione.
Quindi, qual è il tuo mantra?
Ti stupirà ma ho la risposta (ride), perché in realtà il titolo è venuto anche in conseguenza al fatto che l’avevo inserito in una rima, che chiude una strofa di un pezzo, che è “Hi-Fi“, dicendo “la fiducia che mi date è tanta, e io non so cosa ho fatto per meritarla ma non voglio spiegarla e quindi mi ripeto resta vero resta vero resta vero e canta, è il mio mantra”
Com’è stato lavorare a “Mantra”?
Faticosissimo!
Quanto ci hai messo?
Tanto, perché dopo “Alto”, il disco che feci da indipendente con quella che era la mia “etichetta” la “Alto Ent” è nata Blue Nox, e con lei la necessità di fare qualcosa anche in relazione a Blue Nox , alla Macro Beats, quindi l’esigenza e la voglia di far uscire tutto sotto un unico cappello, però poi in mezzo c’è stato il trasloco tra Roma e Milano. Trasloco che ha comportato il fatto che non avevo più il computer con il quale producevo i beat, allora sono andato incontro all’idea di utilizzare solo beat di producer esterni, ricominciando quindi a lavorare in quell’ottica. Stessa cosa per quello che riguarda registrare i provini. Andava tutto riorganizzato. Tante cose si sono perse indietro, alcuni brani erano diventati troppo vecchi per essere usati. In questo senso è stato tutto abbastanza difficile. Poi una volta messe insieme queste cose, scelti i beat, è stato tutto parecchio più facile, anche perché avevo già consumato certi pensieri, certe idee, lo stile che volevo avere che a quel punto è diventato abbastanza elementare finire.
Quanto c’è di Hyst in questo album?
Di Hyst artista, o di Hyst persona?
Di persona sicuro, ma anche di artista nel senso dell’evoluzione che ci può essere stata rispetto al passato. E poi quant’è personale questo disco?
Parecchio, direi 100%. Nel senso che: nella vita faccio tante cose, molte delle quali in ambito artistico, performativo eccetera, ci sono tante cose, penso al cinema e al teatro, che faccio con molto senso di mestiere, che tecnicamente sono capace a fare, ma sulle quali ho una responsabilità artistica abbastanza limitata. Quelle sono arti in cui investo, relativamente, poco di me stesso. Il rap, che è la cosa che ritengo di saper fare meglio, è quella su cui investo di più quello che è il mio bagaglio di essere umano. A differenza di altri artisti che la vedono come un lavoro vero e proprio, io ho la possibilità di scollare le due cose, quindi nel rap mi concedo un’isola felice, nel quale faccio quello che ca**o mi pare, il livello in cui lo voglio fare, me ne frego anche se il livello (forse) a volte può risultare ostico, perché ci stiamo accorgendo che per aver accesso ad un grande pubblico è molto conveniente semplificare le cose. Io sono in una posizione nella quale non mi pongo questi problemi, faccio quello che so fare e se posso mi faccio stimolare da ciò che di buono ho intorno. Quanto all’evoluzione credo che tanto dipenda dal fatto che sono estremamente competitivo dal punto di vista tecnico, e quindi a furia di girare con gente come Kiave, Mista, Marsiglia tutte le volte ti dici “guarda questo che ha fatto” e allora cerchi di alzare anche tu l’asticella.
A proposito della faccenda del rap. Mentre ero al mare ho letto che qualcuno dei santoni dell’ rap (forse i Mobb Deep) ha detto che il rap deve tornare ad essere un messaggio. Visto che mi pare tu lo dica anche in una tua barra, che ne pensi?
Guarda, tornare non lo so, io non sono molto per dell’idea del tornare. Non sono il tipo attaccato al passato, ma sono uno che dal passato ha trattenuto le cose ottime fino presente. Tutte le arti si evolvono, alcune poi sono decadute, morte, altre sono migliorate. Quindi che le cose cambino è normale, ed il concetto di evoluzione è di per se uno dei cardini della cultura HH. Certo ci sono delle cose della storia dell’HH che sono cosi belle e preziose che è brutto e stupido abbandonarle, che è un altro discorso.
Tu sei molto amico di Ghemon, hai per caso in mente di far un progetto come il suo? Non per “copiare” Ghemon, ma più perché anche tu hai una voce che ti permetterebbe di fare cose del genere.
In realtà ce l’avevo già da prima. Io ho già 7/8 pezzi solo chitarra e voce, come già alcune mie vecchie tracce. Ho sempre avuto questa vena avendo sempre suonato la chitarra.
Qualcosa di soul? Che ne dici di un disco interamente soul, magari solo cantato?
Solo cantato credo di no, nel senso che non mi sono mai posto questo obiettivo, né come limite. Per adesso non ho ancora maturato questa voglia. Anzi, l’idea che ad oggi ho è di fare una cosa molto simile a quella che ha fatto Gianluca, cioè cercare di mischiare le due cose. Rispetto all’album suo, quello che ho in testa io è piu acustico, in un certo senso più ruvido e artigianale. Ma semplicemente perché voglio suonare io la chitarra ed accompagnare quello che canto.
C’è stato qualcosa che hai ascoltato in loop durante la produzione di “Mantra” che hanno potuto influire su quello che stavi facendo?
Tantissimi, cosi tanto che è impossibile elencarli. Al costo di sembrare banale e ruffiano devo ripetermi: la maggior influenza ce l’ho dalle persone che mi sono più vicino. Devo dire che in un certo qual modo, il fatto si subire l’influenza di tutta Blue Nox e tutta Unlimited di tutte persone che ascoltano tanto, tanto hh americano ad esempio, allora anche per interposta persona ho finito anche io per esplorare un certo tipo di territorio. L’obiettivo era quello di fare una cosa più classica, più 90s, non necessariamente alla ricerca del suono Kendrick, Jay-Z, Drake però, non si sa mai.
Proprio parlando di suoni 90s. A me Hi-Fi ha ricordato in un certo qual senso le prime cose di Neffa.
Sì, assolutamente, di base l’intenzione era quella lì, specialmente con quella traccia. Però mi piaceva che ci fosse qualche elemento di novità abbastanza chiaro nelle singole produzioni Quindi laddove l’impianto del beat era sample tagliato e break di batteria, che ci fosse suonato qualcosa sopra tipo un synth, piuttosto che una linea di batteria più fresh. Ti faccio un esempio: il beat del pezzo con Kiave e Mista, “Anthem” che è di Amon. Lui me l’ha dato che era quasi solo la parte di drum ed io ho colto quegli accenni lì per farci sopra una linea di basso moog e un piano elettrico molto distorto. Anche i piani distorti sono una cosa che nelle prod dell’anno scorso si sono sentiti parecchio, usata con più parsimonia rispetto a me (ride).
C’è un figlio preferito in questo disco?
Sono due, sono fratello e sorella. Non gemelli perché uno è nato molto prima dell’altro. E sono: “L’arte di essere felice” che forse di tutti i testi è quello più personale, ed è comunque uno story-telling d’amore dove però ci sono immagini, foto di esperienze che secondo me sono proprio sul target della mia età. Quindi nessuna concessione ad un amore adolescenziale. L’altro è “Cassandra”. Io molto spesso c’ho ‘ste uscite esistenziali/apocalittiche tipo anche “Preghiera”. Ecco forse “Cassandra” è “Preghiera” di questo album, quella in cui sono riuscito a mettere il pathos che sento quando ragiono di quegli argomenti.
Io sono in fissa con i titoli da sempre, ed anche quella foto uscita tempo fa su Facebook che tu stesso ri-postasti mi aveva divertito molto. Come nascono i titoli, ed in particolare penso ad “Adesso Scrivo” e “Adesso Parlo”?
Perché le due tracce sono una conseguenziale all’altra, infatti sono la 1 e la 2 dell’album. “Adesso scrivo” è una dichiarazione d’intenti dell’anno scorso, cioè di quando ho deciso di iniziare il processo, e “Adesso parlo” è arrivata nel momento in cui avevo il materiale da esporre, la scintilla da cui parte tutto. Fa sempre parte dell’ottica di essere molto schietti e diretti nella comunicazione.
Una curiosità, un aneddoto divertente accaduto durante la lavorazione di Mantra che ci puoi raccontare? Magari qualcosa che ti ha fatto dire “oh, ci siamo”.
Sono successe davvero tante cose nel mezzo! Le sensazioni buone le ho provate tutte le volte che le difficoltà sono state superate, come per esempio essere a Milano, non sapere come fare a realizzare tutta la cosa e poi trovarmi lo studio di Skinny dietro casa e conoscere Luca, che si è fidato del fatto che già avessi fatto produzione, fonia e quindi mi lasciava mettere mano al pad ogni tanto. Si è creato un rapporto di costruzione buono. Io ero partito con l’idea di fare tutto da Squarta, infatti le prime quattro tracce sono state registrate tutte da lui a Roma, poi il trasloco e il punto interrogativo. Quindi abbiamo finito di mixare l’album da Skinny, e poi l’ho fatto masterizzare la Squarta. C’è comunque la sua impronta sopra, che era per me una cosa fondamentale, a livello esistenziale. Si sono fusi anche i loro mondi acustici, è stato bello.
Non sempre gli artisti sono soddisfatti del loro risultato finale, alcuni lo odiano. Tu sei contento?
Io ho superato da tempo la fase mentale di odiare quello che faccio, semplicemente perché non è fruttuosa, non mi da nulla. Certamente ci sono milioni di cose che farei diversamente, però ad un certo punto devi rasserenarti su quell’aspetto. Come dicevi tu, si comincia a percepire il tuo prodotto artistico come un figlio, quindi come una cosa in cui tu hai messo il seme, gli dai un imprinting, un’ educazione, ma ad un certo punto lui va da solo e tu devi mollare, e basta.
Quali sono i programmi dell’immediato futuro? Un tour magari?
Dovremmo fare un po’ di in-store in giro e da circa metà ottobre fare più date possibile. Io però, in realtà, sono in fase avanzata di lavorazione del prodotto successivo. Non vorrei far passare troppo tempo. Sto valutando se fare un mixtape nel quale mettere le cose che son rimaste fuori, e fare un po’ di feat che non ho fatto nel disco. Tanta gente (tipo Marsiglia) era occupata nelle loro cose. Ce ne sono davvero tanti con cui vorrei lavorare. Quindi, o questo o mi butto a capofitto sull’album acustico.