I like “A Little Lost” because it’s all about kissing. I love kissing. If I could kiss all day, I would. I can’t stop thinking about kissing. I like kissing more than sex because there’s no end to it. You can kiss forever. You can kiss yourself into oblivion. You can kiss all over the body. You can kiss yourself to sleep. And when you wake up, you can’t stop thinking about kissing. Dammit, I can’t get anything done because I’m so busy thinking about kissing. Kissing is madness! But it’s absolute paradise, if you can find a good kisser.
Parto da qui, da Sufjan Stevens. Quella di “A Little Lost” è stata la prima cover di Master Mix, pubblicata in un caldissimo 29 luglio. È la mia preferita, senza dubbio. Va anche oltre il mio solito e risaputo fanatismo devendriano. Perché forse è l’unica cover che riascolto senza ripensare all’originale, perché ne è un tributo personale che però si distanzia pochissimo dalla versione di Arthur Russell e, per questo, ne rispetta gli intenti: “A Little Lost”, il ricordo di un bacio che ti totalizza il cervello.
Non deve esser stato affatto facile mettere assieme delle cover di un artista del calibro di Arthur Russell che ha attraversato diversissime fasi e generi nella sua discografia. E qui le ritroviamo più o meno tutte: da quella più folk e cantautorale, nelle versioni di Stevens o di Devendra Banhart (Losing My Taste For The Night Life), alla disco di “Go Bang” che Russell registrò come Dinosaur L e che qui riascoltiamo nella ricomposizione danzereccia degli Hot Chip.
Robyn fa sua la parentesi disco-house dei Loose Joints, riportando a 3:45 minuti un brano come “Tell You (Today)” che nella versione originale ne aveva più o meno il doppio. Qui il popular prende il sopravvento.
Il linguaggio pop che Russell usa nella più classica disco convive con le aperture orchestrali nei brani che Blood Orange, rispettando l’attitudine eclettica del maestro Arthur, mette insieme: “Is It All Over My Face” e “Tower of Meaning”.
La cupa “Eli”, diventa con Rubblebucket+ Nitemoves un invito a muoversi su un ritmo che sta tra il reggae e il psych-rock, mentre i Cults enfatizzano la deriva new-wave di Russell riportandola nel loro dream-pop (Being It).
Quello che di certo colpisce di questo Master Mix è il tentativo di riportare tra le righe quell’esperienza musicale che, in Russell, si colloca inevitabilmente fuori e che lo fa chansonnier d’avanguardia e raffinato, ostico e pop allo stesso tempo. Un outsider (ahivoi) poco conosciuto.