Casa del Mirto è uno di quei nomi che ricorrono nelle agendine del signor DLSO: da quella prima intervista di 4 anni fa, passando per l’esordio sulla lunga distanza (1979, opera del fondatore Marco Ricci), il sophomore del 2011 (The Nature), un paio di Ep (Poison, del 2011; e Taxus Baccata, del 2012), una quantità imprecisata di remixes e b-sides e una spiazzante “parentesi sonora” chiamata Love Inc. (disco nato dalla collaborazione con Iacopo Bigagli, uscito a sorpresa a Natale 2013), abbiamo seguito tutta l’evoluzione di un progetto che oggi è un cerbero con le teste di Marco Ricci, Luigi Segnana e Raffaele Ricci.
Lo scorso 17 ottobre è uscito per Ghost Records il nuovo lavoro di Casa Del Mirto: si intitola “Still” ed è un collage di 11 brani che riescono a parlare della storia della band e allo stesso tempo a portarla un passo più avanti. Meno chillwave-pop, più esplorazioni nell’R&B e in quell’elektro-pop che pesca dal repertorio house e new-wave. La ricetta sembra quella giusta per superare di slancio le Alpi e conquistare i club europei, e già dai primi live questo nuovo (as)set(to) ci ha decisamente conquistato.
1. Paralyzed: l’intro del disco suonato al piano. Pur essendo un intro, non è da considerarsi un punto di ingresso; è un tramite, il ponte che distoglie da ciò che si sta facendo e che introduce al mondo di ‘Still’, e lo fa con delicatezza.
2. Invisible: la prima vera traccia del disco è cantata dall’americana Avalon Omega. Da circa un anno ci chiedeva su Twitter di cantare su un nostro brano, ora cerca di spennarci. Nella realtà non è così tanto ‘Invisible’. Inizialmente la parte strumentale era totalmente diversa, sembrava un pezzo delle Cibo Matto; dopo aver ascoltato la linea melodica abbiamo pensato ci stesse bene una base più R’n’B. L’abbiamo scelta come singolo per il suo andamento melodico e cullante, è però, in effetti, un brano che rappresenta solo parzialmente lo spirito del disco.
3. Reflex: uno dei nostri brani preferiti. Parla di quanto sia meraviglioso l’universo nella sua interezza e nei suoi particolari e, proprio per questo, di quanto i confini, le porte e le barriere che poniamo tra noi e l’empatia verso quanto abbiamo attorno o recondito dentro noi non abbiano senso, perché siamo una cosa e il suo esatto opposto nello stesso momento.
D’altro canto non si intravede nemmeno l’ombra di un creatore, eppure il tempo non ha mai cancellato un volto.
Un caro amico ci ha fatto notare che l’Universo di Reflex può anche essere rappresentato dalla figura di un padre, un padre distante ma sempre presente dentro di noi.
Nel finale è stato usato un Mellotron.
4. Where You Stand: se sei uno di quelli che continuano a dare, circondato da sanguisughe, questo brano è per te. Arrivi a un punto in cui non sai più dove sei né chi sei. Sei solo esausto e ti senti completamente svuotato. Una marionetta senza più forza di volontà abbandonata nella corrente.
Con Where You Stand volevamo toccare alcune delle sonorità anni ’90 che più ci piacevano.
5. Pressure: questo pezzo è cantato da Luigi, il mood è alla Happy Mondays e ricorda la Madchester degli anni ’80, anche se la versione live è molto più ricca.
La traccia, nelle sue semplici liriche, riprende il concetto espresso più complessamente in “Where You Stand”; a questo punto siamo diventati la marionetta senza più sentimenti, energie e forza di volontà. Sobbalziamo, è vero, portati dalla corrente ma è un movimento indotto e involontario; attorno e dentro di noi non sentiamo più niente se non, in lontananza, un rumore di risate che ci conferma che la vita, il mondo, vanno avanti per la loro strada, anche senza di noi.
6. Last Blue Wind: il testo proviene da un mix di tre brani che dovevano finire nel disco. La voce è stata creata con una app per Iphone, il resto è saltato fuori da solo in seguito a una cura a base di antibiotici e antidolorifici che ha portato Marco sulle alte vette della psichedelia. Le texture finali invece sono state campionate da un album new age era stato realizzato nel 2012 e che non era mai stato pubblicato.
7. A Picture Of: toccare il fondo per poi risalire: questo è il tema di ‘A Picture Of’. La necessità di prendere bene coscienza di sé con i mezzi a propria disposizione; andare a fondo perché toccare il fondo, a volte, può essere una benedizione, ti può aiutare a capire i demoni della tua coscienza e spingerti ad affrontarli per poi risalire, ripulire la tua mente, riverniciare di bianco la tua anima e apprezzare nuovamente quello che eri, sei e sarai. Una canzone sulla redenzione, una catarsi.
La sezione ritmica è il risultato di un lungo cut & paste.
8. Butterfly: inizialmente doveva essere un altro brano sulla meteoropatia (un po’ come lo è un nostro vecchio pezzo, Killer Haze) ma poi ha preso un’altra strada. Non ricordiamo esattamente che cosa volessimo dire, era un periodo un po’ strano per tutti noi. In realtà, è un brano con mille sfaccettature ed ha un sacco di significati e dice una miriade di cose. Non è il caso di scomporre il testo in una inutile esegesi, è più corretto lasciare ad ognuno la possibilità di crearsi una propria libera interpretazione, a seconda delle vibrazioni che ‘Butterfly’ provoca in ciascuno di noi.
La chitarra nel ritornello finale e nei break è di Mirko Marconi (Death by Pleasure).
9. 8: il vero titolo non è ‘Otto’, andrebbe piuttosto letto come il simbolo di ‘Infinito’.
La traccia è stata realizzata registrando un ‘Buddha Machine’ e giocando col pitch. La scomposizione/elaborazione/distruzione del suono è avvenuta per mano del produttore Aaron Larcher, nostro caro amico.
10. What I See Inside Of Me?: fa parte della triade “Faces” – “Is The Sea Everything?” – “What I See Inside Of Me?”. Quella che amiamo chiamare (ma solo tra di noi) la trilogia del mare.
È uno dei brani che preferiamo suonare dal vivo, rappresenta in tutti gli aspetti possibili il nostro mood. Nel primo break la ragazza di Marco recita il primo verso di ‘Faces’: The sound of waves inside of me.
Ovviamente ‘Waves’ è la risposta alla domanda posta dal titolo.
11. Still: (Marco:) il ricordo di uno dei peggiori momenti della mia vita. Quando la volontà era quella di perdermi, lasciandomi andare. Scrivere questo brano è servito ad esorcizzare la cosa una volta per tutte. È uno dei nostri brani più delicati.
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