Club to Club 2014 vuol dire 14 edizioni del più importante festival d’Italia.
14, che come ci insegna il nostro amico Matteo, è il numero minimo di edizioni per poter prendere in considerazione le sagre d’estate e le feste di paese, altrimenti rischi non siano rodate a dovere.
Questa premessa non serve a ricordarvi l’aritmetica, il numero 14 è a nostro avviso la chiave di lettura dell’intera manifestazione di quest’anno: è una cifra abbondantemente sopra il 10, che si traduce in un’organizzazione consolidata negli anni, in garanzia di qualità e lungimiranza di scelte artistiche. Ma è un po’ meno di 15, ovvero un passo dalla consacrazione.
Noi di DLSO siamo approdati a Torino venerdì sera, col rammarico nel cuore di non aver potuto assistere alla performance di un How To Dress Well piazzato troppo presto nella scaletta di apertura del mercoledì. Prima di buttarsi nella mischia, un giro veloce al Symposium, il nuovo HQ di C2C, nonché una della trovate più interessanti del 2014: un luogo ameno, ricco di scariche intellettuali ed artistiche nell’aria, dove ci si è ritrovati più volte a scambiare quattro chiacchiere, sorseggiare un drink personalizzato da Absolut e a giocare a biliardino nella fredda notte sabauda.
Il report è stato diviso sinteticamente tra momenti UP e momenti DOWN. Non tanto perché vogliamo ridurre tutto ad un racconto didascalico, ma perché ogni evento è fatto di act che sorprendono e altri che deludono, sensazioni a fior di pelle e altre che rimangono sotto di essa.
testo: Irene Papa & Francesco Abazia
foto: Flavia Eleonora Tullio
Venerdì 7
UP
Joe Patti’s Experimental Group
Ma quando canta Joe Patti? (cit.)
Il maestro Battiato sembra venire da un altro pianeta, un posto dove la bellezza di Venere si sposa con la forza irrompente di Marte. Un santone, un santo, un mistico: Battiato rapisce per l’atmosfera immaginifica in cui fa calare il pubblico nell’arco di poche canzoni. Se la performance inizia con le produzioni dell’ultimo album in collaborazione con Pinaxa, accompagnati sul palco dal pianista Carlo Guaitoli, sul finale c’è spazio per i classici beneauguranti come Voglio Vederti Danzare. Cala il sipario, applausi, un eco di synth nell’aria: il new age incontra l’elettronica è il titolo del primo capitolo firmato Lingotto Fiere.
Jessy Lanza:
Jessy Lanza ha l’arduo compito di aprire un trittico di donne molto diverse tra loro, tutte ugualmente sul pezzo. Un voto certamente positivo va alla regina della Hyperdub: un live senza sbavature, una performance esemplare, calda (e non solo per le temperature della Sala Rossa). L’unica pecca è forse quella di essere leggermente monocorde, ma al netto di tutto, la bilancia si sposta decisamente verso il segno + specialmente quando si presenta sul palco di Caribou.
Kelela:
Kelela è di una delicatezza vitrea. Si presenta sul palco vestita di trasparenze, approcciando con timido appiglio il suo pubblico. A show cominciato l’incanto si moltiplica, e tutta la Sala Rossa sembra gradire, facendole reggere il confronto con Caribou in contemporanea nella sala grande. Qualche sbavatura trapela tra una traccia e l’altra: bassi alle volte troppo alti e tanti vocal registrati penalizzano in alcuni momenti la sua voce appuntita.
Caribou:
Main guest (insieme alla sua band) del venerdì, il livello del suo exclusive album show è decisamente alto. La cosa che più colpisce è la capacità di fissare la scaletta: un live equilibrato tra vecchie e nuove glorie, chiuse da una perfetta dicotomia che vede Can’t Do Without You e una versione sospinta di Sun convivere nell’arco di 10 minuti.
Fatima Al Quadiri:
Frigida è frigida, ma che mine che mette su la ragazza. Una selezione musicale figa, a metà strada tra World Music, 2Step e Sinogrime, caratterizzata da bassi poderosi che fanno tremare l’intero stage. L’unico difetto della sua performance è che dura troppo poco… e che lei non sorride quasi mai.
DOWN
Jungle:
30 minuti per montar il palco, 35 (40 a voler essere generosi) minuti di esibizione. Tutto suona come un disco preregistrato. Pulito sì, ma da 7 persone in stage ci si aspetterebbe un qualcosina di più.
E ‘MO DOVE LO METTO
Evian Christ:
Per chi ha avuto modo di apprezzarlo a Milano in occasione della preview del C2C al Fabrique, il paragone non regge. Con un quarto dei presenti in sala, coadiuvata dal contesto total black del locale, la performance meneghina di Evian Christ ci è rimasta sotto pelle per l’esperienza visiva e sonora portata on stage. A Torino, forse sfavorito dal posizionamento in line up subito dopo Battiato, è partito in quarta, spaccando le orecchie dei presenti col suo inconfondibile mix di elettronica e Hip Hop. Purtroppo la poesia audio-visiva non ha avuto il suo meritato bis.
Sabato 8
UP
Fatima:
Lo possiamo dire? Fatima è stata se non la cosa migliore del festival, sicuramente una delle più emozionanti. Proviamo a raccontarvela così: una stanza piccola, con le tende calate e un palco di pochi metri quadrati. Fatima indossa un abito folk color carta da zucchero e ha il carattere di una cantante soul della vecchia generazione. Ad accompagnarla, la Eglo band con cui arrangia tutto il disco (TUTTO IL DISCO) coinvolgendo il pubblico nella sua personale ballata funky jazz.
Jacques Greene
Ci viene da dire solo una cosa quando pensiamo al DJ set di Greene: missili.
Lorenzo Senni:
Lorenzo Senni è un artista che va capito, compreso. Se non ti va di fare lo sforzo avresti fatto bene a restar fuori. Ma una volta entrato resti rapito. Rapito dal suo mood futuristico, da suoni di una caratura morale e intellettuale davvero pesanti.
DOWN
Future Brown:
Erano uno dei gruppi più intriganti, di quelli che non vedi l’ora di ascoltare, e invece… Il sound sarebbe anche giusto, magari un pochino esagerato, e che non abbiamo capito che tipo di performance propongono. In 4 sul palco, alternandosi ai controlli, con una Fatima Al Qadiri che probabilmente ha avuto il tempo di farsi il 730 durante il set e J-Cush un album di selfie. E poi FIGA LA TUTA BIANCA PER SUONARE NEANCHE DRAKE SE LA METTE.
SBTRKT:
Coinvolgente, ma non sublime. Il live è dinamico, dominato dalle percussioni dei suoi due musicisti. Ma il nuovo disco è troppo cantato per non presentare neanche un vocal live: non pretendevamo Ezra Koening ai microfoni, ma quella voce tutta digitale fa perdere parecchi punti al produttore inglese.
OUT OF CATEGORY
Apparat/Recondite/Marcel Dettmann:
La Mitteleuropa riunita sotto un unico #hashtag. Bellissima l’idea di creare un ponte di 1.161 chilometri per collegare idealmente le due città che fanno rima, chiamando in console tre maestri indiscussi della techno tedesca. Al di là dei gusti personali, #Berlinwall25 ha messo insieme la finezza techno di Apparat che chiude omaggiando il suo predecessore SBTRKT, l’up tempo ambient di Recondite in stile Rottal-Inn (il distretto del sud-est bavarese da dove proviene), mentre le prime luci del mattino sono affidate al teutonico Dettmann. Tutti penalizzati, purtroppo, dalla qualità dell’audio e da un basso gracchiante.
Un altro Club To Club è finito e, oltre le opinioni, ci sono i fatti. Se solo fosse più curata l’esperienza emotiva offerta da una location ancora troppo asettica e alienante come il Lingotto e se solo il pubblico si emancipasse un attimo dal suo essere quasi esclusivamente local, avrebbe il bollino verde dei nostri festival europei preferiti.
Ma la 15esima edizione è l’anno prossimo, no?