A me, e suppongo anche a molti di voi, interessa relativamente la dicotomia tra l’artista e la persona. Una storia vecchia come il mondo. Voglio dire che in prima linea non è fondamentale che ad un ottimo artista corrisponda anche un’ottima persona.
Altrimenti dovrei cestinare metà libreria di iTunes e magari eviterei di spendere un patrimonio per andare ai concerti. Con questo intendo che spesso, quando parliamo di musica su queste pagine, ti capita di avere a che fare con artisti che ti accompagnano nel quotidiano, magari da anni e che fanno capolino ogni giorno nel tuo iPod. Spesso, anche dopo un’intervista o un contatto ravvicinato, la distanza rimane invariata.
Poi ci sono quelle occasioni in cui non ci si incontra e i contatti sono per lo più virtuali, eppure hai la sensazione che qualcosa di diverso sia avvenuto. Stavolta sembra di conoscere “la persona” da sempre e quasi ti fa piacere. Prendersi del tempo per rendere un dialogo incalzante non è da tutti e soprattutto non capita spesso di incontrare (lapsus*) qualcuno che condivida molti dei tuoi stessi gusti e il tuo senso dell’umorismo.
Di Dutch Nazari ve ne abbiamo parlato qualche giorno fa, ma probabilmente il futuro parlerà per lui più di qualsiasi testata musicale o giornalistica. Il suo EP Diecimilalire, è uno dei lavori più maturi e convincenti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni da un artista così giovane (classe ’89), in Italia. Il contenuto dell’intervista che segue è una chiacchierata su una passione condivisa che quasi mi ha fatto cambiare idea. In fondo se a un’artista capace corrisponde anche una bella persona, non è poi così male…
Ultimamente ci è capitato spesso di parlare di artisti, per lo più rapper, che si stanno avvicinando sempre di più allo stile dello Slam Poetry (vedi Nach). In qualche modo penso possa rientrarci anche tu. Il tuo flow, le rime e la tua immagine si staccano decisamente dallo stereotipo del rapper. I tuoi testi sembrano un’ improvvisazione ragionata, che di per se è quasi un ossimoro. Sebbene tu venga esattamente dal mondo del rap e ti sia fatto le ossa nel circuito underground, prima a Padova e poi a Trento. Quanto è importante per te evitare i cliché in quello che fai ? Come si è evoluto il tuo stile dal 2006 a oggi ?
Questa è una bella domanda. Il rap, come qualsiasi altro genere, hai i suoi “topoi” narrativi, come ad esempio l’autocelebrazione in forma di iperbole: “sono così forte che…”. Oppure l’insulto in seconda persona, del tipo “sei così scarso che…”. Chiunque conosca un minimo l’ambiente del rap sa che questi sono elementi tipici che derivano dal mondo delle battle di freestyle, in cui due MCs si sfidano proprio per dimostrare di essere ciascuno più forte dell’altro. All’inizio, quando uno sta imparando a scrivere, perfezionando le proprie tecniche, la metrica, gli incastri, il flow etc, questo tipo di clichèt narrativi possono rappresentare una culla molto comoda e rassicurante. Per rispondere alla tua domanda io, ad un certo punto del mio percorso di scrittura, ho iniziato a vedere tutti i tipi di clichèt retorici come tante trappole, in cui cercare di cadere il meno possibile nella ricerca di un mio personale tipo di originalità.
Francesco de Gregori qualche giorno fa ha rilasciato una dichiarazione dove dice che “…al contrario dei rapper, i cantautori erano più acculturati e si rivolgevano a un pubblico più acculturati. Le loro canzoni erano piene di rimandi alla cultura classica.”. Io non sono molto d’accordo, potrei fare parecchi nomi che non corrispondono a questa descrizione. Cosa ne pensi?
De Gregori non è il solo, sono molti i cantautori che negli ultimi anni hanno commentato il rap in modo simile. Premesso che io sarei per il totale abbattimento della barriera tra le due categorie, penso che probabilmente chi si esprime in questi termini abbia semplicemente ascoltato poco rap, e quando dice queste cose ha in realtà in mente uno stereotipo distorto. Ad esempio avevo letto un’intervista a Colapesce l’anno scorso. Una bella intervista in cui spiegava che il rap sfoggia una ricercatezza apparente attraverso l’uso di molte parole, mentre il cantautorato esprime una vera ricercatezza attraverso una sintesi maggiore. Per un’attimo mi aveva quasi convinto. Poi sono andato ad ascoltare le canzoni di Colapesce e le ho trovate brutte. E sono tornato ad ascoltarmi Johnny Marsiglia. Questione di gusti.
Com’è nata la collaborazione con Dargen e la Giada Mesi e quanto e come ha contribuito concretamente Jacopo D’Amico alla realizzazione di “Diecimilalire” ?
La collaborazione è nata quando Dargen D’Amico ha sentito le mie canzoni. Gli sono piaciute e mi ha proposto di produrmi. Il suo contributo è stato in termini di pareri preziosi, la tracklist del disco per come era ipotizzata inizialmente ha subito delle modifiche, abbiamo tolto qualcosa che non ci convinceva del tutto e aggiunto qualcosa che ci sembrava che mancasse. Dal punto di vista delle singole canzoni invece ci è stata lasciata (a me e al produttore Sick et Simpliciter) grande autonomia, e anche laddove ci venivano proposte delle modifiche l’ultima parola spettava sempre a noi.
Il tuo vero nome è Duccio ma ti fai chiamare Dutch Nazari, il che farebbe pensare che tu abbia qualcosa a che fare con l’Olanda. Nei tuoi pezzi canti anche in inglese e francese. In Europa alcuni rapper rappano in due o più lingue e lo stesso E-Green scrive in 3 idiomi differenti. Pensi di poter sviluppare questa scelta stilistica in futuro e farlo diventare una sorta di marchio di fabbrica?
Da un lato sì, mi piace molto mescolare le lingue, specie nei ritornelli dove spesso mi pare che lingue come il francese o l’inglese si prestino meglio. Dall’altro lato a me piace che chi ascolta le mie canzoni capisca quello che dico, quindi l’utilizzo di lingue straniere, in questo senso va dosato. In ogni caso in genere quando cambio lingua nello scrivere non è per premeditazione, ma perché mi sembra che quel particolare momento di quel particolare pezzo lo richieda.
Su DLSO abbiamo trattato spesso anche artisti europei della scena tedesca e spagnola. Artisti validissimi ma che in Italia sono dei perfetti sconosciuti. Pensi che presto questo trend possa cambiare?
Conosci qualche nome al di fuori dei confini italiani (e che non sia americano o inglese chiaramente)?
In Spagna, mi piace molto Nach Scratch (guarda qui). L’ho scoperto come molti grazie alla traccia “Efectos vocales”, in cui riesce nella straordinaria sfida di scrivere tre strofe utilizzando in ciascuna una sola vocale. Fenomenale. Il disco che contiene quella traccia si chiama “Un dia en suburbia” e all’interno ha altre canzoni bellissime. La più bella di tutte secondo me è “Mil Vidas”.
In Francia ci sono molti artisti eccezionali. La mia preferita è Keny Arkana, la sua canzone che preferisco è “Desobeyssance civile”. Il rap tedesco mi piace meno, però mi era piaciuto parecchio l’ultimo disco di Samy Deluxe (vedi qui), lui spacca.
“…ma se nel video ho una giacchetta e un po’ di neve dici che sembro Nesli, io su di lui e tutti gli altri non ho niente contro, non ho pareri su artisti che non mi ascolto…” (Ogni volta che respiri). Insomma non troveremo mai nei tuoi testi dei dissing veri e propri in futuro. Eppure in un’altra intervista dici di aver consumato “Mr Simpatia”, quando uscì nel 2004, che è un po’ la bibbia del dissing. Non trovi che in fondo le beef e il nominare altri artisti sia ancora oggi parte integrante di questa cultura, (nonostante tutti gli sforzi di evolversi anche a livello di sound) e che in qualche modo sia anche divertente ?
Sono pienamente d’accordo con quello che dici. Il fatto è che questa cosa è coerente con il rapporto che ho io con il rap. Se dovessi provare a indovinare quali dischi ho nell’ipod solo basandoti sulle canzoni che scrivo, probabilmente non ne azzeccheresti mezzo. Il fatto è che ci sono molte cose che non scriverei in una canzone mia, ma che comunque apprezzo nelle canzoni degli altri. Lo stesso vale per quando scatta il beef tra due artisti. C’è sempre qualcuno che è del parere che sia un comportamento ridicolo, infantile, che andrebbe evitato. Io invece non entro nel merito del “fanno bene/fanno male”: mi diverto, ascolto le tracce, stabilisco chi secondo me ha spaccato di più, cito le sue rime migliori nelle discussioni con i miei amici e nel frattempo penso “che figata il rap”.
Ma tu te le immagini Laura Pausini e Emma Marrone che risolvono un diverbio cantandosi in faccia pubblicamente: “Sei una stronzaaa…!” in tonalità di Do Maggiore? Secondo me sarebbe bellissimo.
Si parla molto di rapper che vogliono andare a Sanremo o che andranno a Sanremo quest’anno. Spero che tu non la prenda come un’offesa ma penso che tu sia un artista adatto per presentare la propria musica su quel palco e fare la sua porca figura. (Non a caso Dargen quest’anno è nella giuria di Area Sanremo) Ci andresti?
Intanto bisogna vedere se mi ci vogliono, a Sanremo. Non sono sicuro che le canzoni che propongo io sarebbero molto apprezzate in quell’ambiente. Comunque se per un attimo facciamo finta di sì, ora come ora forse non ci andrei. Ma non per motivi ideologici, semplicemente credo sia uno step che ha senso fare a un certo punto della propria carriera di cantante. Un punto che non so quale sia, ma a cui so per certo di non essere ancora arrivato.
Segui ancora il rap italiano? Quali artisti ti piacciono (anche al di fuori del rap)? Ascoltando i tuoi pezzi mi sono venuti in mente subito Uochi Toki e Murubutu…
Io ancora oggi seguo il rap italiano con lo stesso entusiasmo che avevo a 16 anni. Nel frattempo il genere si è diffuso molto di più e gli artisti si sono moltiplicati ma io provo ugualmente a stare al passo con tutte le uscite. E mi piacciono tutti i tipi di rap, come ti dicevo prima il rap che ascolto non per forza assomiglia al rap che faccio, e anzi.
Conosco entrambi gli artisti che hai citato, anche se non sono un loro grande fan. In particolare di Murubutu mi piace molto il brano “Quando venne lei”.
Questa è una domanda che faccio sempre quando mi capita di intervistare rapper o artisti vicino al rap. Cosa ne pensi dei testi omofobi nel rap e a questo punto anche nel reggae e nella dancehall dei quali mi sembra di intuire tu sia anche fan?
Il mio rapporto con il rap, come è già emerso in questa intervista, mi porta di frequente a ascoltare e apprezzare versi che, se presi alla lettera, veicolano concetti che io magari non esprimerei. Versi come “io sono Fabri Fibra ho appena ucciso la vicina e dato fuoco alla cucina con un litro di benzina è crollata la palazzina stai attenta ragazzina” mi gasano anche se difficilmente si potrebbe considerare edificante il concetto che veicolano. Chissenefrega: è rap e può dare emozioni, evocare immagini senza per forza dover essere preso alla lettera. Questa è una cosa che chi non ascolta rap spesso stenta a capire. Per me per il rap vale lo stesso discorso che vale per le altre forme di espressione artistica: perché non è che se Anthony Hopkins ammazza dieci persone in un film, poi mi aspetto che nella vita di tutti i giorni lui ammazzi le persone. O che il significato profondo del film “Shining” sia che bisogna rincorrere la propria moglie e il proprio figlio con l’accetta.
Premesso questo, però, ci sono certi paletti oltre ai quali la mia sensibilità non è disposta ad andare. L’omofobia è uno di quelli.
L’omofobia mi fa schifo e basta.
Parlaci di “Jenin”. Penso sia uno di quei pezzi che rimangono attaccati all’artista a lungo, una sorta di instant classic. Racconti una storia vera o è stata ispirata da qualche lettura?
Due anni fa ho avuto l’occasione di scrivere un progetto di ricerca con un mio caro amico, il poeta Alessandro Burbank, grazie a cui abbiamo vinto un bando della Provincia Autonoma di Trento che ci ha dato i fondi per poter girare un documentario. L’oggetto della nostra ricerca era il ruolo del rap e della poesia nella società palestinese,in particolare nella città di Jenin. Quindi siamo andati un mese in Cisgiordania. Il documentario adesso è pronto a breve faremo la presentazione ufficiale. Il motivo per cui ti racconto tutto questo è per dire che la canzone “Jenin” è, appunto, un collage di ricordi autentici, legati alla mia esperienza in quella terra.
Visto che quello dei soldi è un tema portante del tuo nuovo EP, quanto è importante per te e per un artista guadagnare attraverso il proprio sforzo creativo ? Oppure rimane sempre l’arte über alles?
Se per fare soldi intendiamo che è giusto che un artista faccia un tipo di musica che gli fa schifo ma gli permette di guadagnare molto, invece di fare quella che gli piace, mi pare un compromesso un po’ triste. Se invece si dice che è giusto che un’artista che faccia liberamente la propria musica venga ricompensato con un lauto guadagno, sono pienamente d’accordo.
Quali saranno i tuoi prossimi step promozionali, a quando il tuo album di debutto per la Giada Mesi? Puoi anticiparci qualche collaborazione?
Adesso inizieremo a portare l’EP live, per ora abbiamo date a Padova, Venezia, Trento, Milano, Bologna, Torino. Per i dettagli rimando alla mia pagina di facebook dove aggiorneremo il calendario delle date. Per quanto riguarda il disco nuovo per ora dico solo che lo sto scrivendo e che questa volta sarà un LP.