testo di Oliver Marco Dawson
C’è stato un momento preciso in cui la produzione hip-hop, ormai diventata una forma d’arte matura, si è emancipata dall’essere al solo servizio dell’mc ed ha iniziato ad esistere in quanto tale. Quel momento preciso è rappresentato, nel mio personale memoriale dei dischi, da una piccola rivoluzione intitolata “Entroducing…..” di Dj Shadow. La stessa emancipazione è arrivata quasi 20 anni più tardi nel grime, sottogenere dell’hip-hop nato per le strade di Londra che ha lanciato talenti importanti come Dizzee Rascal o Wiley e che ha dato voce ad alcuni produttori come Slackk, Visionist e Samename senza bisogno di un mc.
Il disco di Mr Mitch va incasellato in questa scena ed al momento forse ne rappresenta il prodotto più maturo; la cosa non deve stupire più di tanto poiché a soli 26 anni gestisce già la sua label (la Gobstopper Records) ed è uno dei 4 dj di Boxer, una delle serate cult della capitale inglese. Ma cos’ha di tanto speciale questo “Parallel Memories”? Diciamolo subito: non è un disco facile, non è uno di quei dischi che metterete alla festa e tutti gli invitati tireranno fuori Shazam, e nessuno al mondo sta aspettando il prossimo live di Mr Mitch per portarci la fidanzata. È un album concettuale, scontroso, primordiale che a volte sembra anche realizzato in modo amatoriale: la palette sonora è quella del grime, dove autoproduzione, semplicità e ruvidità sono sempre stati marchi di fabbrica.
Le batterie in “Parallel Memories” sono solo un contorno, il mood è creato da suoni minimali che giocano con le melodie nel vuoto scuro e triste della sua produzione urbana e spartana. E così nascono piccoli capolavori come “Don’t Leave”, dove il campione vocale malinconico si scontra con un muro di sintetizzatori e, per quanto non c’entri assolutamente nulla a livello di produzione, crea una di quelle atmosfere di vuoto urbano alla Burial. È un disco grime così triste e romantico che quando Mr Mitch ha fatto ascoltare “Sweet Boy Code” alla sua fidanzata, Mrs Mitch, si è messa a piangere: la traccia è tanto lenta ed intensa con un tenebroso campione vocale stretchato di Dark0 da trasportarti a Tokyo alle 4 del mattino di un mercoledì qualunque a zonzo, da solo, con il cuore spezzato.
Il suo EP di un anno fa era un manifesto preciso: “Peace Dubs”, il grime della pace, il suono di un produttore che non si sente rappresentato dal machismo del suo genere e che ne ama il suono a tal punto da volerlo plasmare e proiettare nel futuro. E così ha fatto, portandolo su Planet Mu e pubblicando un disco di rara bellezza che, cosa alquanto strana per il 2014, sostituisce “l’impatto” con il sentimento, come ben dimostra “Fly Soup”, forse la traccia più bella del disco: niente di più della storia di lui che mangia una zuppa verde con una mosca che gli gira attorno.