Lo si aspettava con impazienza, curiosità ed anche un filo di riverenza ed eccolo finalmente al dettaglio il nuovo Theo Parrish. L’intelligenza americana è definita, coerente e tracciata, fatta di continui accenni, rimandi e fascinazioni ai lati più colti della produzione afro-americana. Suoni e costruzioni di questo lavoro di volta in volta passano da armonie squisitamente Davisiane, dal periodo Tutu a salire e presenti un po’ in tutto l’album (Ah, ma anche Fallen Funk eThug Irony), a funky squisitamente old school che vanno da Welcome back, divina nel regalare la prossima suggestione a dj Muggs e alla collina dei cipressi, a Life Spice, che rimanendo sullo stesso lato, suona talmente semplice da mettere in ginocchio chiunque abbia giocato anche professionalmente con un Akaii 950.
Siamo nemmeno alla metà delle tracce, in ordine più o meno sparso, eppure c’è da impazzire di gioia.
Ci troviamo invece ospiti nella sala giochi di un genio per niente accondiscendente, dal genere non propriamente definibile, dove di elettronica non c’è nulla in più di un altro dei sub generi presenti nell’album. La sensazione, davvero reale, è quella di trovarsi in una libera jam session dove ognuno degli strumenti suonati, programmati, pensati, divaga su un tema portante, di volta in volta ripescato, come detto all’inizio, nel lato più intellettualoide della musica black.
È implicito poi che con questa costruzione e questo sviluppo, gioco forza i pezzi siano lunghi, le divagazioni totali. Si richiede attenzione, empatia, ascolto attivo e partecipante per convogliare l’attenzione su stacchi, assoli ritmici, contro tempi che nella partitura dei pezzi di Parrish avvengono con irregolarità definita e in cui davvero tutto il lato percussivo dell’affare gioca il ruolo di traino. Ci vuole il giusto mood, il giusto tempo e una buona predisposizione ad affrontare American Intelligence, va detto.
Il disco è, e sarà, metro di una selezione naturale tra chi si aspettava un disco, pur raffinato, ma con un occhio alla ridicola classifica di Resident Advisor (che non è Bibbia come non lo è nessuno) e chi invece aspettava qualcosa in grado di sparigliare una scena deejale troppo sommessa alla logica del se produco, produco per vendere. Theo Parrish risulta sicuramente elitario, forse più per vocazione che per scelta vera e propria, e non è detto sia un male. Dipende da quanto si vuole evitare la sedimentazione mentale su un genere qualsiasi predefinito o quanto si vuole avanzare verso nuovi orizzonti anche non troppo lontani, perché comunque non parliamo di qualcosa di assolutamente nuovo o trascendentale. Però, se le velleità sono quelle di staccarsi dai pattern precomposti di fruity loop o comunque di guardare avanti dritti e oltre le solite definite produzioni. Qui in quindici pezzi c’è tutto ciò che serve. Buon Natale.