Dopo un Ep e un disco – Rock Duro – uscito su My Own Private Records, i Wow tornano con un album cantato tutto in italiano e con una nuova etichetta, la 42 records.
Amore, questo il titolo del disco, è un impasto di pop datato e suoni low fi. Il risultato è un disco che si pone a metà tra Milva e i Tame Impala e ci conferma che i Wow sono una delle band più interessanti dell’ambiente musicale romano.
Abbiamo fatto due chiacchiere con loro per provare a conoscerli meglio.
foto di Flavia Eleonora Tullio
1. Partiamo dalla copertina del disco, una serie di elementi e un volto femminile con elementi arcimboldiani. Qual è il significato che le attribuite?
La storia che è successa è che Stefano Demented conosce Karen Constance (l’autrice di tutti i collages che sono sul disco) al Crack, e ci fa da tramite per i suoi lavori. A noi piacciono molto e, fra le varie versioni della copertina che abbiamo imbastito, alla fine la spunta il faccione di donna quattrocchi. Se proprio dobbiamo fare questo sforzo di attribuirle un significato, credo siamo stati colpiti dall’elemento marino: China è di Genova e in alcuni pezzi del disco si può respirare, per così dire, una brezza marina, non trovi? Poi la faccia con quattro occhi crea una sorta di effetto ottico per cui rimane difficile sostenere lo sguardo.
2. In che modo Roma, fucina di talenti, ha influenzato la vostra formazione artistica e la scelta stilistica?
Direi che Roma ci ha influenzato molto: è una città decadente dal passato glorioso, e già questo può dare un’idea della musica che sta sul disco. Poi noi WOW ci siamo incontrati qui, considera che ci sono due francesi di Strasburgo, una genovese e un romano di adozione e, ecco, forse solo grazie alla musica e ai locali del Pigneto e di Tor Pignattara ci siamo incrociati. Proveniamo tutti dal giro di musicisti che si è cristallizzato in quella che è stata chiamata Borgata Boredom, un mucchio di gruppi decisamente poco convenzionali, forse con i Bobsleigh Baby avevamo qualche affinità in più, o coi Capputtini ‘i Lignu. In ogni caso, dopo qualche tempo, a partire da questa nicchia noise ci sono state strane derive verso la canzone
d’autore, penso soprattutto al catalogo Geograph Records, con dischi bellissimi di Grip Casino, Calcutta, Eva Won, Gun Kawamura (che ha scritto una canzone del nostro disco, Sospiro), o, più di recente, i dischi italiani di Tab_ularasa.
3. La prima uscita su 42 records, che è l’etichetta che ha dato alla luce alcuni dei prodotti italiani più interessanti degli ultimi anni, in che modo è cambiato l’approccio alla musica rispetto ai primi lavori?
In 42 Records siamo arrivati col disco già quasi pronto, quindi non è che l’etichetta ha cambiato il nostro modo di fare musica: si può dire che abbiamo affinato un nostro metodo per registrare, dato dall’esperienza che abbiamo maturato con gli anni. Per vocazione siamo sempre stati decisamente autarchici rispetto alla nostra musica, credo che parte fondamentale di una band sia la ricerca di un proprio suono e i metodi di registrazione ne sono una parte integrante come puoi facilmente capire. Questo è di sicuro un segno di continuità rispetto ai nostri dischi precedenti. Alla fine restiamo un gruppo garage, nel senso proprio del termine: suoniamo e registriamo in garage senza porci particolari problemi tecnici. Ecco, l’ultimo disco l’abbiamo registrato nella sala prove dell’ex Forte Fanfulla (un locale attorno cui abbiamo sempre gravitato), quindi, se vuoi, si trattava di un ambiente, sempre letteralmente, meno sotterraneo. Giacomo Fiorenza, di 42 Records, è intervenuto a questo punto: ha fatto una sorta di remix venendoci incontro rispetto al suono che volevamo dare al disco, poi Andrea Suriani ha curato il master. Con Emiliano Colasanti (l’altra metà di 42 Records), che cura piuttosto la promozione, si può dire che abbiamo cominciato a fare cose di cui in precedenza non ci curavamo particolarmente: interviste (come questa), foto promozionali e, boh, live acustici in radio. Cheb Samir, il nostro batterista, dice semplicemente che non gli interessano queste cose, che gli importa solo suonare. Penso che la questione sia più complessa di come la mette Samir, ma è vero che il rapporto con la promozione rimane una questione sempre un po’ ambigua per noi. Però abbiamo sviluppato un bel rapporto di fiducia con 42 Records: c’era in qualche modo la volontà che questo disco si spingesse un po’ più in là dal giro di amici che ci ascolta, può essere interessante, per ora lo è, anche risponderti, mentre forse prima non lo avrei pensato.
4. Ad un certo punto della vostra carriera, dopo il primo EP e il disco uscito per My Own Private Records, avete abbandonato l’inglese per cantare in italiano. Come mai questa scelta?
Ci portavamo dietro da molto tempo Dove sei, un giorno ci siamo trovati un po’ casualmente con dei microfoni molto belli, e siamo andati a registrarla in sala prove. Ci abbiamo preso gusto e abbiamo continuato a registrare pezzi in italiano. Quando poi Nessuno di Voi è uscita su una compilation di Bubca Records ci ha contattato Milva, che è l’interprete originale del pezzo, e ci ha spronato a fare un disco che recuperasse quelle sonorità oggi perdute… È stata lei a suggerirci che il disco avrebbe potuto chiamarsi Amore.
5. Il disco è stilisticamente molto vicino alla musica italiana anni 60’-’70 ma con influenze e
suoni piuttosto lo-fi e garage, il vostro background musicale dove si colloca?
Noi lo pensiamo piuttosto vicino agli anni ’60, addirittura le prime canzoni che ci hanno fatto recuperare un certo interesse per la musica italiana sono degli anni ’30 e ’40, come ad esempio Cara Piccina o Firenze Sogna di Carlo Buti, o anche Melanconica Luna di Gino Bechi, o i brani di Tajoli: abbiamo chiesto le canzoni ai vecchi che ci è capitato di incontrare, se chiedi a tua nonna le conosce tutte. Del resto abbiamo pensato di fare un disco che potesse piacere a nostra nonna. Sul suono lo-fi o garage, che dir si voglia, ci pare di averti già parlato prima, più che da una scelta è dato dal nostro modo di fare le cose, autarchicamente o do it yourself, scegline una. Come background nostro, boh, chissenefrega, chiaro che i Velvet Underground sono un riferimento, ma di chi non lo sarebbero? Piuttosto è interessante, ecco, continuare ad ascoltare cose, come le canzoni di Buti, che ti mettano davanti a sentimenti antichi, o comunque differenti dal contemporaneo. Ci pare che i cantanti del passato ci dicano di più, nel senso che parlano più di noi, di quanto non facciano i contemporanei, non trovi?
6. 10 dischi che hanno influenzato la scrittura di questo “Amore”.
Non mi va di fare i 10 dischi, facciamo i 10 video di youtube?? Così recuperiamo anche il background della parte francese del gruppo, ché non è male avere gente che ti parla degli analoghi francesi dei cantautori italiani, per esempio di Brel che, difatti, è fiammingo e di cui mettiamo anche questa intervista.
Poi mettiamo la migliore canzone italiana di sempre .
Ancora, Milva: tutto questo disco di Morricone è splendido, ce l’ha suggerito Donato Epiro.
Poi boh, di sicuro abbiamo ascoltato i Broadcast: la nostra amica Eva Won suonava una cover di Corporeal quando siamo andati in tour insieme e anche la sua canzone ci ha influenzato di sicuro. In quel periodo ascoltavamo molto Irma Thomas, ma anche Muddy Waters, Big Mama Thorton…
7. L’album ha un titolo ambizioso. Cos’è, secondo voi, l’amore?
L’amore forse è la cosa più difficile da definire, non credi? anche Gesù Cristo lo diceva.
8. Nel 2013 avete fatto un bel tour, varcando anche i confini nazionali. Che rapporto avete
con i club italiani e quali differenze avete riscontrato all’estero?
Bella domanda. Nel 2013 siamo partiti con Eva Won e Calcutta, in realtà anche nel 2014 abbiamo fatto un tour fuori dall’Italia. Ad ogni modo: forse suonare fuori dal proprio Paese aggiunge già di per sé una certa dose di fascino per chi ti viene a sentire. Quando finivamo i concerti in Francia ci capitava di trovare persone che facevano lo sforzo di parlarci in italiano (FRANCESI che si sforzano a parlarti nella tua lingua!), anche con ottimi risultati, anche a Thibault e Samir parlavano in italiano, no questo non è vero. Comunque ci faceva piacere e ci rendeva anche un po’ orgogliosi. In generale, forse anche per l’esterofilia generica di cui parlavamo, all’estero si vendono più dischi e la gente è mediamente più incuriosita, ma poi dipende… non è che ci siano tutte queste abissali differenze transnazionali: ci sono organizzatori che mettono su concerti per passione, e in genere è questo a fare la differenza. Un ragazzo di Teramo che ci aveva chiamati a suonare ci diceva molto francamente “alla fine io organizzo i concerti dei gruppi che mi piacerebbe vedere dal vivo”, ci pare questo lo spirito giusto.
9. WOW è un’esclamazione di stupore. Da dove deriva e come mai questa scelta?
Boh, dicevamo sempre uou nel periodo in cui abbiamo cominciato a suonare. C’era questa immagine bellissima nel fumetto Neutro, del nostro amico Lele Giraldi, di un paesaggio naturale bellissimo con un cartello davanti che diceva WOW. Non c’era il nome, il nome non importa, era bello, era bello che non fosse un nome, ma un’espressione, no? Abbiamo iniziato suonando alle feste in casa di amici, soprattutto a casa di Cora Presezzi, al Tolmino 5, il nome lo abbiamo deciso in 2 secondi non dovevamo sedurre nessuno, dovevamo solo darci un nome. Poi per China era tutto nuovo, lei viene dal teatro, e le sembrava che fare musica fosse una cosa incredibile, era un continuo wow. Poi ci continuava a girare per le
mani questa foto del wow signal, del tipo che cerchia il suono alieno mai sentito prima e ci scrive wow! accanto perché lì per lì non sa che altro scrivere, quel segnale non dovrebbe esistere, hai presente? Infatti questa immagine diciamo che riassume bene l’approccio a tutte cose, che è inizialmente istintivo, emotivo, facciamo una cosa perché ci sembra bella, perché ci fa dire un uou interno e poi dopo rielaboriamo e nella riconferma attraverso l’analisi che va aldilà del piacere, decidiamo se una cosa è da tenere o se dobbiamo continuare a cercare. Come il passaggio dall’inglese all’italiano. Leo stava girando in quel periodo un documentario per la sua tesi di laurea, e uno dei protagonisti era questo signore anziano che racconta come nel dopoguerra, da giovane, lui riattivava, diceva proprio così, le canzoni dei cantanti famosi, ricantandole nella campagna, dove magari non c’era radio, le insegnava agli altri. Pezzi di Buti, Trovajoli… Un grande wow! Siccome ci sentivamo come nel dopoguerra in quel periodo, a poco a poco questa idea di riattivare un Italia perduta, dei nostri nonni, ecco, ha preso piede e sicuramente si è riversata nelle prove e nelle decisioni musicali di quel momento.
10. Progetti per il futuro?
Boh, andare a suonare in giro e registrare i nuovi pezzi, prima che se ne accumulino troppi. Abbiamo già una decina di pezzi nuovi, e poi il famoso terzo disco in inglese che China aveva scalettato con tutti i titoli prima ancora di avere i pezzi, in una sorta di tentativo di darsi un ordine, la prendiamo ancora in giro per quello. Ma soprattutto non vediamo l’ora di suonare, e incontrare tutte persone e vedere quest’Italia, questi nostri coetanei, capire che pensano, che fanno; alla fine resta la parte migliore.
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