Stroncatura preventiva dell’articolo: ma allora vi fate pagare per fare le recensioni?! La risposta è semplice: NO.
È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Quello del blogger.
Parola ormai logorata da un cattivo utilizzo negli anni, si apre oggi a mille interpretazioni: giornalista, opinionista, copia/incollatore di news, motore di ricerca permanente, scrittore amatoriale. In ognuna di queste definizioni c’è un po’ di verità e un po’ di bugia, ma non siamo qui per parlare di etichette. La questione che oggi mettiamo sul tavolo parte da una domanda che ci siamo fatti in redazione dopo che Carlo Garré, dell’ufficio stampa Ja.La Media, ha riportato sul suo profilo Facebook una conversazione privata avuta col redattore di un blog X, che non oscuriamo per privacy ma perché realmente non ne conosciamo il nome, in cui il redattore suddetto chiede a, fronte della recensione di un disco, il pagamento di un contributo di 25 Euro. Alla richiesta di una regolare fatturazione il blog X risponde che non emette fattura perché la fee è da intendersi come “donazione” per il tempo impiegato all’ascolto e alla stesura dell’articolo.
Scandalo, condanna e vergogna le reazioni della rete (almeno quella che frequentiamo noi) – al grido di deontologia e indipendenza dell’informazione – di fronte alla richiesta infausta di demandare dei soldi in cambio di un servizio, quello della recensione.
E qui ci troviamo di fronte ad un mare di questioni aperte. Se ad una prima occhiata la richiesta appare scorretta e sembra rispondere più alla logica pubblicitaria che a quella giornalistica, ad un’analisi più approfondita emergono almeno due aspetti nient’affatto secondari: il blogger non è un giornalista professionista con una deontologia scolpita nella pietra perché non viene pagato da nessuno per essere tale (non che questo esima dall’avere un’etica propria, ma anche dal non averne affatto); un blog che parla di musica, per quanto possa raggiungere ottimi numeri, non collezionerà mai le visualizzazioni de La Repubblica (che pure qualche scivolone lo prende pur di gonfiare i numeri a fine mese) ed è dunque da principianti credere che possa sostentarsi solo grazie agli esigui e mal pagati introiti delle inserzioni pubblicitarie.
Dall’impegno quotidiano profuso nel tenere in piedi la propria webzine al chiedere di essere pagati per qualcosa di cui non avremmo altrimenti scritto, il passo è breve. Ciò implica che l’informazione pagata sia per forza corrotta e dominata dal migliore offerente? Niente affatto: io (ufficio stampa), se non sono in malafede, ti cerco per avere una recensione ritenendo che la tua opinione e che quella della tua testata siano sufficientemente valide da indurmi a bussare alla tua porta. Non ti cerco, pagandoti o meno, perché parli per forza bene del prodotto che ti sto proponendo.
Ma evidentemente diventiamo tutti poco illustri a fronte della richiesta di un pagamento, per altro irrisorio. Spiegatemi la differenza con chi accetta inviti ad eventi esclusivi, outreach e omaggi da parte di brand vari purché se ne parli sul proprio blog: siamo di fronte ad una captatio benevoltiae praticamente identica, solo che in questo caso è legittimata perché non vi è scambio fisico di denaro; nel caso del blog X, che non fa altro che dichiarare il prezzo della sua merce invece di girarci intorno al grido di ‘’informazione indipendente’’, la gogna è già calda.
Il punto è che della disponibilità dei blog si è abusato e stra-abusato negli anni in cambio di favori o della tanto famigerata visibilità. Se un sito X a un punto tale della sua vita decide di cambiare registro e iniziare a fatturare per quello che scrive, ben venga. Se sei tu a venire da me, io ti dico come funziona per ottenere un servizio. Se a te non sta bene, non accetti. Una recensione carica di elogi non te la compri certo con 25 Euro, stiamo parlando di una cifra che è pari al costo di un vinile. Che, nella maggior parte dei casi, non ti viene neanche più inviato per cortesia, ma ti buschi se tutto va bene un file su dropbox.
Il blog X solo in un punto sbaglia: nel dichiarare che non intende fatturare quanto guadagnato dal servizio offerto. Se la tal pratica è per esso un’abitudine consolidata e avallata dagli acquirenti, si trasforma in un’attività remunerativa a tutti gli effetti che richiede delle adeguate trattenute. Altrimenti è speculazione. Ma evidentemente questo è uno scandalo minore agli occhi di chi giudica, la vera condanna riguarda il tentativo di corruzione dell’informazione, il giornalismo che si vende, senza considerare il lavoro, il sudore, il tempo che ogni blogger, rispettato o meno, dedica ogni giorno alla sua piattaforma per cercare di renderla migliore.
I pubbliredazionali si pagano da sempre, su qualsiasi tipo di testata, se li fa pagare Resident Advisor come Cosmopolitan. Una soluzione può essere quella di dichiarare apertamente che si tratta di uno spazio comprato, ma quello che l’ufficio stampa, o la band, o il management può acquistare è appunto il tempo dedicato, non l’opinione che occupa quel frangente.
Bisognerebbe capire che i blog non sono giornali: nel bene e nel male. Se il male implica che qualcuno possa chiedere dei soldi per una recensione, il bene fa sì che con pochi euro si venga esposti ad un pubblico altamente interessato che altrove avrebbe un costo per contatto 10 volte più alto. Altrimenti perché ci stareste cercando?