Un bilanciamento perfetto. Questo è lo split tra Threelakes e Phill Reynolds, i due italianissimi folkwriter che hanno deciso di mettere insieme le loro penne malinconiche d’ispirazione oltreoceanica in un vinile, uscito il 17 gennaio per diNotte Records, che dosa in due parti uguali una scrittura intima e scarna, che sa essere visiva senza troppi riempimenti sonori. Un folk ancestrale, minuto, che sa di Bob Dylan e della tradizione americana sì, ma pure del passato discografico dei due.
Ascoltatela qui, leggetela più sotto nel track by track.
BURROW
Il desiderio di nascondersi nella propria tana è qualcosa che alletta tutti. Sentire la terra che diventa sempre più calda e familiare, un canto della sirena che si fa sempre più nitido. La vera sfida è rimanere fuori. Sentire il vento freddo del presente sulla faccia e farsi seccare le mani a forza di lavorare per un futuro migliore.
TWO DESERTS
Alle volte ci svegliamo in sogni che non conosciamo. Fitte nebbie che ci implorano di restare perché troppo lontano è il sole. Mano a mano che avanziamo incontriamo mondi e persone, piccoli frammenti che ci riportano alla ragione del quotidiano. Si può urlare e dimenarsi sotto le coperte ma è passo dopo passo che si trova la chiave in grado di chiudere l’armadio della memoria.
FOUR SEASON BLUES
Il viaggio inizia sempre dalla nostra pelle, dalle sensazioni che il clima proietta sul nostro corpo. Diventiamo immaginarie tele di un immaginario pittore che si diverte a cambiare i toni del mondo. Il problema arriva quando ci rendiamo conto di essere noi i pittori e che il tuono ci fa chiudere gli occhi per non vedere un lampo che ormai è già passato.
HEY JOY
Scrissi questa sorta di preghiera alla Gioia più di dieci anni fa, quando suonavo nei Those Two. E’ una richiesta d’aiuto ad un Entità che immaginavo densa di purezza ed equilibrio da parte di un essere-isola solo, incompleto, vinto. Brano che per me risultò davvero terapeutico, un’esorcizzazione luminosa. Ricordo che al primo ascolto Lisa, compagna di classe alle superiori, si commosse e ne appese il testo in camera sua, cosa che mi stupì davvero: non era mai successo prima. Cambiai.
TWOSDAY
Siamo fatti da circa il 70 % di acqua, dovremmo semplicemente scorrere. Ed invece siamo carnefici e vittime, ai piedi o sotto i piedi di quel devastante despota che è l’Idea, il Concetto di Amore. Un incontro, uno sviluppo, del Bene condiviso, i corpi che si fanno uno, le percezioni comuni che mutano, per decenni o settimane: dovremmo imparare a goderne, a farne via via mura sicure per resistere agli inverni a venire, e non per appendervi specchi sui quali riflettere i nostri ego letalmente inzuppati di Ieri. (Ci ricascherò, lo so!).
MAN?
Nel corso degli anni molte amiche e molte letture mi hanno fatto riflettere sull’icona dell’uomo, del maschio, di noi portatori di pene: tecnicamente, siamo Il Male. Ho cercato di cantare un percorso che narrasse questa figura dalle prime interazioni sociali al “successo”, secondo i nostri schemi occidentali, inserendo fatti accaduti a me come ad amici, salendo di intensità anche dal punto di vista canoro, ma mantenendo una singola nota a strofa (la staticità…). Non potevo che concludere duettando con Francesca, aka RYF. Tre accordi, troppe parole; infatti la frase più bella – e penso a Caso- non è mia, ma della poetessa Audre Lorde.