Della nostra passione per Giovanni Truppi e il suo stile insieme malinconico, scanzonato e delicato non abbiamo mai fatto mistero, sin dall’uscita del suo secondo disco (“Il mondo è come te lo metti in testa”, che ci siamo fatti raccontare da lui stesso).
Il 23 gennaio scorso è uscito il suo terzo album in studio, intitolato Giovanni Truppi. Un disco ancora più bello e maturo del precedente, di cui vi abbiamo fatto parlare dal nostro Fabrizio. Dopo averlo fatto a parole nostre, abbiamo pensato che sarebbe stato ancor più bello farvelo raccontare da Giovanni Truppi, provando a scavare e chiedendogli di parlare di sé più di quanto non faccia già con le sue canzoni. Questo è quello che ne è venuto fuori.
Ciao Giovanni, bentrovato. Ci è voluto il terzo disco per vedere il tuo nome nel titolo. Domanda scontata: perché? Volevi sottolineare un’identificazione nuova nelle canzoni?
Ciao e grazie. Il motivo non è razionale: come è successo per gli altri dischi a un certo punto (molto presto) ho “sentito” che il nome era questo. A posteriori penso che probabilmente proprio perché si tratta di un disco che mi tratteggia di meno come personaggio delle canzoni che canto mi ci identifico di più in quanto autore di canzoni e da questo punto di vista mi sembra logico che la scelta di mettere il mio nome sia arrivata ora.
Novità che invece non si trova – e lasciaci dire per fortuna – nella squadra che al disco ha lavorato. Due nomi su tutti: Marco Buccelli alla batteria e alla produzione (come per “Il mondo è come te lo metti in testa”) e Ivan Antonio Rossi (che si era occupato del missaggio del disco precedente e stavolta ha ospitato tutta la fase di registrazione nel suo 8brr Studio). Ci racconti come nasce Giovanni Truppi (il disco)?
Con Marco lavoriamo insieme da più di quindici anni ed è sempre più bello, finché dura ce la godiamo. Abbiamo conosciuto Ivan con il disco scorso (per entrambi i dischi si è occupato sia delle registrazioni che del missaggio, in questo caso le registrazioni sono state fatte allo Studio Nero di Roma e i mix nello studio di Ivan) ed è stato un colpo di fulmine da entrambe le parti.
Il disco è nato mese per mese nel corso di un anno.
Ho iniziato a mandare provini a Marco a Maggio 2013 cercando ogni volta di caratterizzare il più possibile l’ambiente sonoro di ogni brano. Di volta in volta lui ci lavorava aggiungendo, togliendo o lasciando le cose così com’erano.
Fin da subito abbiamo iniziato a confrontarci con Ivan riguardo il suono da tirare fuori.
Più o meno a Maggio 2014 c’è stata la prima sessione di registrazione, poi ci siamo presi un po’ di tempo per riflettere su quello che avevamo commesso e in estate ci siamo rivisti per chiudere tutto.
Dal punto di vista musicale mi pare che ci sia un tentativo di andare oltre ogni schema e di essere il te stesso più complesso che abbiamo mai ascoltato. Penso a quanto possano essere diverse tra loro Stai andando bene Giovanni, Alieno e (il free jazz di) Pirati. Come avere davanti il frutto della semina de Il mondo è come te lo metti in testa (penso a canzoni come Cambio sesso per un po’, Ti ammazzo o Nessuno). Questo ulteriore passo nella direzione della varietà è frutto di una precisa scelta di produzione o della condivisione del percorso con una band e con sensibilità diverse?
La varietà non viene da scelte, quanto piuttosto dalla scelta di assecondare in totale libertà quello che mi andava di fare e di esplorare di volta in volta. La scelta produttiva è stata quella di fare un passo oltre il minimalismo de “il mondo è come te lo metti in testa”, una volta fatto questo passo spesso abbiamo seguito quello che suggeriva la scrittura stessa delle canzoni.
Di percorso di una band non si può parlare perché la band non c’è (a differenza del disco precedente dove io Marco eravamo una band) se non per il fatto che ho ragionato da band già in fase di scrittura, senza pensare quasi mai alla canzone voce e chitarra.
Tu sai che su DLSO ti seguiamo e apprezziamo da tempo; nella recensione di “Giovanni Truppi”, il nostro Fabrizio ha giustamente osservato che questo “è un disco ironico, emotivo, straripante, senza retorica e pieno zeppo di ironia amara, dissacrante”. Se dovessi paragonare il modo in cui scrivi ad un’eruzione di un vulcano, penseresti all’esplosione o ad una colata? Raccogliere tutta l’energia e poi sputarla fuori o lasciar defluire e sedimentare piano piano?
Mi dice internet che esistono i vulcani ad attività mista, credo di essere così.
Se mi concedi il neologismo e la semplificazione, a me sembra che in “Stai andando bene Giovanni” si ritrovi tutta la truppità. Un “umanesimo” (“perché che te ne fai della perfezione senza la condivisione?”) che va a braccetto con l’amarezza della constatazione finale, per di più espressa attraverso un refrain (“e non pensare di poter dare più di quello che puoi dare”). Quando ascolto canzoni come questa (o “Come una cacca secca”, per tornare indietro nel tempo) mi chiedo sempre se tu stia parlando a te stesso, di te stesso o del mondo come te lo sei messo in testa in questi tuoi primi 30 anni…
Parlo sempre a me stesso, di me stesso e di come di volta in volta col passare del tempo mi metto in testa il mondo. Solo che non c’è solo questo: insieme a me in quello che scrivo c’è tutto quello che mi succede intorno, tutto quello che vedo accadere agli altri.
Il fatto di utilizzare spesso la prima persona o di rivolgermi a me è semplicemente il modo di comunicare più credibile (per me) che ho trovato.
Dal mio punto di vista “e non pensare di poter dare più di quello che puoi dare” non è una constatazione amara: è realistica, è utile per orientarsi nella vita. E non vuol dire di dare di meno di tutto il possibile.
A mio modesto parere la perla del disco è però “Lettera a Papa Francesco I”, scritta con Antonio Moresco: una canzone di denuncia capace di far sorridere senza svilire in alcun modo il messaggio. Com’è stato condividere il momento della scrittura? E come ti senti quando la ascolti o la suoni?
“Lettera a Papa Francesco I” è stata una bellissima esperienza, con una sua storia piccola ma per me piena di spunti. Avevo letto il testo originario di Moresco (la lettera a Papa Benedetto XVI contenuta in “Lettere a nessuno”) e ho pensato subito di farci una canzone.
Ho mandato direttamente un primo provino ad Antonio con due stati d’animo: da una parte ero molto soddisfatto del lavoro e dall’altra avevo molta paura che non fosse disponibile all’esperimento.
La sua reazione mi ha abbastanza spiazzato: era disponibile ma voleva cambiare tutto.
Mi ha mandato un testo parecchio diverso dall’originale (che avevo cercato di rispettare il più possibile), molto più lungo e molto più esplicito. Ho pensato che aveva rovinato tutto, che la canzone funzionava così com’era ed che ora rilavorandoci avrei perso la freschezza che la rendeva così bella. Ho pensato che era un vecchio scrittore che non capiva niente di canzoni.
Invece è bastato affidarsi (e non è stato facile e ne vado molto fiero) perché una canzone migliore della precedente venisse fuori, con una naturalezza che mi ha sorpreso.
Per finire volevo farti una domanda personale: sei felice?
Questa domanda aprirebbe discorsi lunghissimi ma forse non è questa la sede. È un momento bello, grazie per avermelo ricordato.
(Giovanni si accomiata con questa canzone)
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