Lo seguiamo da sempre e non è un mistero che ci piaccia tanto: potevamo forse perderci l’esordio live di Giovanni Truppi?
Ovviamente no. Perciò venerdì scorso eravamo a Napoli, al Lanificio 25 per goderci l’inizio di questo nuovo viaggio e cercargli, eventualmente, un difetto.
Fino a poco fa, prima dell’uscita dell’omonimo Giovanni Truppi, lo scorso gennaio, il nostro si aggirava su e giù per l’Italia portandosi dietro un live scarno e magnetico, in cui una canotta, una chitarra e un amplificatore, si dimostravano più che sufficienti ad esprimere tutte le meraviglie del mondo che si era messo in testa.
Poi, appena un mese fa, l’annuncio di una formazione live vera e propria, composta da Francesco Motta (Criminal Jokers, Nada) e da Luciano Turella.
Una foto pubblicata da @giovannitruppi in data:
Ed eccoci a venerdì, il 13 febbraio, la data zero. Il Lanificio 25 va riempendosi lentamente ed è come se fosse un imbuto: il cortile spazioso, l’ingresso angusto, il soffitto alto, la sala lunga e stretta, fino a che tutto e tutti convogliano sguardo e cuore sul palco, che all’inizio sembra piccolissimo e lontano, già per me che sono solo a metà sala.
Giovanni non dà l’impressione di essere un uomo di molte parole, sembra uno di quelli che sul palco ci salgono per fare quello che sanno e non si mettono a spiegarlo granché.
Il pubblico lo sa e non vede l’ora. Alla fine la sala è piena, e quel palco piccolo prende luce e forza sotto gli occhi di tutti.
L’attacco è lo stesso del disco, con il singolo Stai andando bene Giovanni, che tutti sanno già a memoria. La segue la travolgente Superman, orfana delle trombe, ma non meno riuscita.
Motta alterna chitarra e tastiere mentre Turella fa il suo alla batteria. Il palco sembra diventare sempre più grande, mano a mano che il concerto prosegue e Giovanni e Francesco si alternano al piano.
La scaletta è una miscela perfetta di estratti dal vecchio album, cantati a squarciagola da chiunque, e brani inediti, durante i quali mi sento quella strana perché sono tra i pochi a saperli tutti a memoria (il disco è sul tubo, gente, fate un ripassino).
I musicisti si prestano alle canzoni, valorizzandole senza nessun protagonismo, arrivando ad uscire di scena al momento di Eva, cantata piano e voce, in un soffuso silenzio pieno di romanticismo (ossia: si limona).
Uno dei brani che rendono meglio è Ti ammazzo, vestita di chitarre e acidità, proprio come merita.
Tra i picchi di empatia non si può tralasciare Hai messo incinta una scema, singolo che ha anticipato il disco e per questo, ma non solo, conosciuta parola per parola dai presenti. Si ride tutti, quasi che scema e consorte siano presenti in sala (non è detto che non sia così, chissà) e persino Truppi fatica a rimanere serio.
Dall’altro lato del magnetismo va a mettersi La domenica, brano toccante che ammutolisce la platea facendola cadere in una trance di melanconia, spezzata solo dall’uscita di scena.
Il nostro rientra poco dopo, da solo, armato di chitarra, per tentare la difficilissima Conversazione con Marco sui destini dell’umanità. Il testo spettacolare, però, fatica, purtroppo, ad essere compreso.
Si chiude in trio, con una Giovinastro amata e strillata a gran voce, come il brindisi finale ad una grande festa.
Una festa che celebra un amore, quello di Giovanni per la sua città e quello di Napoli per il suo cantautore più ironico e scapestrato.
E si può decisamente dire che è stata una gran bella festa!