Di quanto ci sia piaciuto “Egomostro”, non ne abbiamo fatto mistero (ecco che con l’aggancio a questo collegamento esterno, anche oggi, ho dato aria al petto del mio io). Con questa rubrica, però, mettiamo le mani tra gli scaffali di Colapesce sui quali troviamo (oltre a quelle conserve sicule buonissime di produzione familiare) quei dischi che passano per le sue orecchie e che, in qualche modo, hanno influenzato il suo nuovo disco (o quelli degli altri, come leggerete).
Ha voluto che gli imponessi un limite, altrimenti non gli sarebbero bastate tre di queste rubriche. E dunque questi sono i dieci album che Lorenzo consiglia a noi, a voi. Fatevi del bene: mettete le cuffie.
Damon Albarn – Everyday Robots
Il disco più “giovane” della mia lista. Damon Albarn si riconferma un grande poeta, musicista e produttore: qualità rare nel (sempre più povero d’idee) mondo della musica pop. Lui le ha tutte e tre. Gli va riconosciuto. Da “The Good the Bad and the Queen” ai Gorillaz, passando per “Mali Music”, Bobby Womack , Child of Lov, non sbaglia un colpo e noi ne siamo felici.
Big Star – Third/ Sister Lovers
La voce di Alex Chilton ti scava dentro. Questo disco è bellissimo e sono straconvinto che senza “Sister Lovers” gli Wilco non sarebbero mai esistiti. Molti passaggi ricordano il pluriblasonato “Yankee Hotel Foxtrot“. Volevo inserire quest’ultimo nella lista, ma sarebbe stato ingiusto.
Jim James – Regions Of Light And Sound Of God
Disco solista di Mr My morning Jacket, sottovalutato. Ha delle tracce di pop rarefatto bellissime. Un pezzo in particolare, “Dear One”, ha un suono di fuzz che mi ha fatto perdere la testa”. Per i più nerd: ha usato un fuzz factory. Io l’ho usato nell’assolo di “Brezsny” e “Maledetti Italiani“.
Un disco gigante. Insieme a “Spirit of Eden”, ha cambiato il mio modo di ascoltare la musica e mi ha insegnato una cosa banale ma fondamentale: la dinamica. Il titolo della mia “Dopo il diluvio” è un piccolo omaggio alla loro “After the Flood”.
Della serie “dischi della notte in bianco”. Ascoltatelo in un impianto decente e non dalle casse del computer, apprezzerete particolarmente i bassi dub di un disco tutt’altro che dub. Prodotto da Mark Hollis, scopiazzato a destra e a manca da eserciti di post-rocker.
L’unico lavoro solista (purtroppo) della voce dei Talk Talk. Un disco nudo ed elegante, silenzioso, cortese ma profondo. Profondissimo. Da isola deserta, per un lungo periodo è andato a braccetto, la notte, insieme al prima citato “Hex” dei Bark Psychosis (tutto torna). Thom Yorke deve molto a questo disco. Non so se l’abbia mai ammesso, ma i più attenti se ne saranno accorti. Alcuni passaggi armonici di “Kid A” sono intelligentemente “ispirati” a questo piccolo gioiello.
Bellissimo. Incensato dalla critica ma resta comunque a mio avviso un disco troppo sottovalutato. “Caminanti” e “Sotto i colpi di mezzi favori” andrebbero studiate nelle scuole. Bastano due sue strofe per spazzare via la presunta leva cantautorale degli anni bla bla bla che non se ne può più.
“le parole svelate e corrotte da chi ragiona il malanno sono solo clessidre per i turni di notte. Non si ascoltano i pazzi per quello che dicono, che vorrebbero dire. Ogni tanto uno sguardo si leva e ricorda che eravamo ragazzi e di gioco si poteva impazzire, che qualcuno alla fine c’è riuscito davvero, qualcun altro per finta, o a fatica, ha imparato a dormire”.
Mark Kozelek e Jimmy Lavalle – Perils from the sea
Kozelek è notoriamente una persona “complicata”. Una volta ero a un suo concerto e ha fatto spegnere il frigo del bar perché faceva troppo rumore. Però gli si può concedere tutto, soprattutto dopo questo splendido disco con l’altro geniaccio The Album Leaf.
Anni luce lontano dalle bordate noise a cui ci hanno abituato negli ultimi anni. Il sesto disco di Michael Gira (siamo nel 1989): oltre a testi intensissimi, contiene l’inno degli alcolisti di tutto il mondo – “God damn the sun”. Tutte le volte che sussurra al microfono “I’d choose not to remember but I miss your arrogance and I need your intelligence and your hate for authority” mi sento mancare.
Michael Chapman – Fully qualified survivor
Adoro la sua voce. Disco assurdo del 1970, arrangiamenti folk sopraffini e una bella dose di psichedelia a bagnare il tutto. Con lui suonava pure un certo Mick Ronson… Nel 2011 è uscita una ristampa con un booklet che ne racconta la genesi, compratela!