[column size=”3/4″ center=”yes”]FKA Twigs non è mai stata in Italia e la prima volta che affronta il nostro Paese, lo fa a Milano. Sabato scorso si è tenuto uno degli appuntamenti più attesi di inizio anno, organizzato da Club To Club 2015 insieme a Noisey, che ha visto salire sul palco anche Mumdance, Dave Saved e Lorenzo Senni. Noi ci siamo andati in tre e ci tenevamo a raccontarla da punti di vista diversi. Un report in 3 dimensioni. Bilancio finale? Alla fine FKA piace a tutti.
Formerly Known As Goddess
di Irene Papa
Milano, 7 marzo 2015. O forse dovremmo dire Venere, anno venturo da definire.
L’attesissimo concerto meneghino di FKA Twigs inizia così, con la sensazione di trovarsi su un altro pianeta, di essere stati catapultati su una terra lunare dove le uniche due sfumature di colore percepibili sono la luce più pura e l’ombra più nera.
Ma facciamo un passo indietro, all’attimo prima che la meraviglia abbia inizio. FKA è una che si fa attendere, proprio quello che ti aspetteresti da tipe come lei. Una figura per metà terrena e per metà divina, verso la quale provi una strana forma di riverenza, l’inverosimile timore che, guardandola troppo a lungo, possa sbriciolarsi. Il pubblico in sala – un mix and match di hipster, gay in adorazione come al concerto di Beyoncé e numerosi curiosi – è ansioso di assistere al miracolo: Tahliah ci salverà tutti portandoci con sé nel suo mondo alieno o ci costringerà a sopravvivere per i prossimi 60 minuti ad un’avvilente normalità?
Ed è a questo punto che sopraggiungono opinioni discordanti. Qualcuno ha trovato lo show troppo costruito, la cantante infinitamente distante dalla gente, le emozioni del live sostituite da una sequenza di sample. Io dico, who cares? Chi va a un concerto di FKA non può esimersi dall’inquadrarla in un frame storico-musicale molto preciso: una fotografia lucida e fedele del concetto di musica elettronica nel 2015 in cui la produzione è diventata fondamentale quanto i testi e la linea melodica. La cantante sale sul palco con una formazione coraggiosa: tre musicisti forniti solo di pad, dai quali mandano live i sample – tagliuzzati e spezzettati – delle basi e il controcanto, adagiati sul tappeto sonoro liquefatto a cui LP1 e i due precedenti EP ci hanno abituati. Da Preface in apertura, continuando sulle note di Water Me, Hide, Numbers, ci troviamo nel bel mezzo di un profondissimo trip sonoro più che di un classico concerto. L’artista si muove sinuosa come una serpe, dimostrando nel mentre una padronanza della voce incredibile: sibila, urla con grazia, miagola. Il suo canto è un metacanto, che esplora le infinite possibilità di un falsetto impeccabile.
Performance valorizzata da un set scenografico ridotto all’essenziale, dove la bellezza è raggiunta per sottrazione: il buio è più nero che mai, la luce squarcia le tenebre solo per posarsi su quel ramoscello conturbante in mezzo al palco. Give Up, Lights On, How’s That scorrono via nell’arco di un’ora, durante la quale l’unico contatto col pubblico si consuma in un paio di frasi di circostanza e fortunatamente nessuna considerazione su quanto sia speciale l’audience italiana.
FKA Twigs è algida, fiera, bestiale. È il prodotto musicale con l’estetica più dirompente degli ultimi anni, che compensa l’imperfezione fisica con la perfezione esecutiva. La personalità timida con una bravura sfacciata. Le spigolosità ossute con la voce di Cassandra Wilson. FKA può essere descritta non da un aggettivo, ma da una previsione: datele fiducia e il futuro sarà suo.
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How does it feel to have Twigs looking right at you?
di Dariush Aazam Rahimian
Per una volta, in ritardo.
Icona dell’ipermodernità sonora e stilistica, Taliah Barnett esce dal backstage un’ora dopo l’inizio previsto.
Luce blu, Ouch Ouch prodotta per Lucki Ecks esplode nelle casse prima che Twigs e la band compaiano. Lei non c’è, ma ci si sente già travolti. “Harder, I love you” echeggia come un’eloquente introduzione al suo pianeta di amore metallico e sesso surreale.
Abbigliamento di rete nera per ognuno di loro, batteria elettronica per tutti eccetto lei.
Il live inizia proprio come LP1, con la citazione abnegatoria di Sir Thomas Wyatt. La frase, incisa a mano sul disco in vinile, è ripetuta senza fine in Preface. L’acustica del Fabrique è precisa quanto basta per avvertirci: mente e sguardo saranno schiavi di quel palco per un’ora, da sognare eterna e da segnare tra i momenti privi di ombre grigie. I kick sono profondi, i bassi ampliati a misura di un evento Club2Club. Pezzi dell’album si alternano a tracce dei due EP precedenti senza mai stemperare la tensione. Il ritornello di Lights On è caotico: cascate sensuali di percussioni scelte al millimetro, un giro di basso -suonato alla batteria- che vibra negli abissi del petto. Hide è gentile, quasi profumata; gli acuti trasformano il pubblico in migliaia di quei bambini messicani visti nel video ufficiale. La porta scricchiolante che introduce Water Me è tradotta in onde sinuose. Gli spigoli del suo corpo prendono vita, ancora più liquidi delle strumentali partorite con Arca. Il mondo si ferma per trenta secondi con Pendulum. La voce non è pitchata come nella versione studio, ma forse è meglio così: lei è lì, sapere che pensa a noi è più che gradevole.
Si respira calda la pace di Papi Pacify; scendono lungo la spina dorsale i gemiti di Numbers, seguiti dai gloriosi e liberi vocalizzi di Kicks.
Occhi felicemente spaesati si incrociano nell’audience all’attacco di Figure 8, nuovo brano presentato a Melbourne e probabile assaggio di un ipotetico EP3. Su un beat minaccioso cosparso di mitragliatrici del futuro, FKA Twigs osa una strofa rap, come se servissero talenti inediti nel suo repertorio.
Prima di sguinzagliare la potenza ipnotica di Two Weeks, un filo di fragilità nella parlata lascia il sospetto che lei sia davvero reale.
Chiude l’esibizione con How’s That, in cui la passione trionfa sul ghiaccio, tra campanacci digitali e cortocircuiti di calore umano.
Un live coerente: EP ed EP2 perfezionati con l’esperienza di mille fonti, LP1 eseguito con la gioia della prima volta. Tutto ciò ad ennesima riprova della consapevolezza autoriale e sonora di una creatura esplosa in un mare di generi, luoghi, epoche e sensazioni.
Non si tratta di una popstar qualunque, perché ha mano su ogni cosa.
Le parole di fuoco sono sue, la musica d’acqua appartiene al suo corpo più di quanto non appartenga alle nostre playlist da un paio d’anni a questa parte.
Lei è l’isola più unica, floreale e moderna che la cultura pop possa offrirci in questo istante.[/column]
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Più ti vedo, più ci credo
di Francesco Abazia
Il primo vero pensiero che ho formulato durante il live è arrivato circa a metà concerto. Ricordo di aver pensato a come looking for somethin’ sia la locuzione più abusata della musica inglese e americana, in qualunque genere. Mi è venuto in mente durante l’esecuzione di Pendulum che è di gran lunga la mia traccia preferita di LP1 e, quasi di conseguenza, della bella britannica. Il fatto che la mia canzone di riferimento sia una delle più celebri, forse dice di me che non sono il suo migliore fan, né l’esperto numero uno. Eppure in certi momenti di confronto con altri presenti allo show, ho avuto come la sensazione che questo abbia avvantaggiato la mia percezione della musica. Andare a vedere un concerto di FKA Twigs, significa andare a vedere un concerto di FKA Twigs, non di Bjork. E la mia non è un’affermazione così scontata.
Al netto dell’hype, giustificato o meno poco importa, FKA Twigs resta una bella realtà nel panorama musicale attuale. Nuova il giusto, sicuramente non rivoluzionaria, ma capace di tenere in piedi un’ottima rappresentazione da sola (nonostante i batteristi facessero molta scena con le magliettine fetish), mantenendo un livello di fisicità elevato per tutta l’ora di esibizione. L’altro punto è proprio quello: nonostante le coreografie non siano quelle della Scala, per certi versi incomprensibili, i “balli” della Twigs sono essenziali per la perfetta riuscita del tutto. Non si prescinde da quello. E’ un’esperienza uditiva e visiva. Tahliah è l’apoteosi del sesso espresso come movimento. Una sensualità mai volgare, e per questo ancora più accentuata, che non lascia spazio a repliche. Vederla dal vivo, in un certo senso ti mette in pace col mondo, non per forza quello musicale.
Non avevo mai ascoltato tutto il disco per intero, non in una sola trance. FKA Twigs mi ha conquistato, merito anche delle produzioni di Arca, che saranno pure oniriche (per quello che significa) ma dal vivo suonano che è un piacere.[/column]
foto di flavia eleonora tullio