La Francia è uno strano posto per fare musica elettronica. Nonostante abbia dato i natali a musicisti incredibili come Jean Jacques Perrey, pioniere del sintetizzatore Moog negli anni ’70, la vera ondata di artisti electro con la puzza sotto al naso arriva solo vent’anni più tardi. Parliamo di gente come gli Air da un lato, The Hacker dall’altro e i Daft Punk nel mezzo. Tutti quelli venuti dopo, volenti o nolenti, hanno interiorizzato la lezione del french touch degli anni d’oro, rimestandola con i propri personalissimi riferimenti culturali. Surkin ha mescolato il tocco francese con la garage di Todd Edwards; Teki Latex, guardando ad est, ha rubato sonorità dalla disco belga. La lista potrebbe essere infinita, tra nomi scomparsi e teste calde ancora sulla cresta dell’onda. Eppure nessuno, tra i numerosi esponenti del panorama d’oltralpe di media caratura, è riuscito in questa decade ad allontanarsi molto da casa, a lasciare il tranquillo e sicuro focolare europeo per esplodere nel resto del mondo. Nessuno, tranne quel ragazzone cresciuto in provincia ascoltando hip hop e trasferitosi nella Capitale per mixare dietro la console.
Brodinski appare sulle scene nel 2007 con Bad Runner EP, un po’ credendoci sul serio e un po’ canzonandosi, ma sempre con un occhio rivolto oltreoceano. Nel frattempo gira il mondo a suon di cassa dritta, si introduce nel mercato americano mettendo le mani nientepopodimeno che su Yeezus, e, imparata la lezione, si rinchiude in studio a produrre in vista del suo debutto vero e proprio.
Brava è il risultato di tutto questo: compendia gli anni passati a guardare Kanye su MTV, la necessità di sopravvivere alla noia della campagna, il sogno parigino di vivere d’arte. Il disco non sbava mai, non lascia spazio alle imperfezioni, ma è ancora acerbo. Prende gli stilemi del rap East Coast e gli aggiunge la giusta dose di spocchia francese. I video usciti fin’ora, Can’t Help Myself in primis e Us in seconda battuta, sono patinati come film vecchia maniera, quando le clip musicali avevano ancora una loro importanza nel determinare il successo di un brano. I featuring, al contrario, sono tutte scommesse, a rimarcare da un lato l’atteggiamento ancora youngish del produttore, e dall’altro il fatto che questo lavoro punti in alto, ma non troppo.
I brani che spiccano dalla mischia sono pochi – i due sopracitati, Francois Xavier, 51 Beadz, Follow Me – e lo fanno grazie alla sonorità violente, ma ben calibrate. Ascoltando le altre tracce la sensazione è, invece, che la musica non sia al servizio dei versi, sia semplicemente in secondo piano.
Brava è un debut album figlio di un percorso coerente con la cifra stilistica che ha caratterizzato Brodinski sin da quando era il protégé di DJ Mehdi, a cui per altro deve l’avvicinamento al rap e gran parte dei passaggi della sua carriera. E si va collocando sempre di più in una panorama grime come quello inglese. Il rischio, però, è quello di confondere la coerenza con l’immobilismo. Brodi è uno che ce la sta facendo, è un produttore almeno un paio di spanne avanti ai suoi connazionali (eccezion fatta per l’amico di sempre Gesaffelstein): ha la sua linea di apparel (chi ti ricorda?), ha fatto di se stesso un’icona, gestisce un’etichetta che ha più le sembianze di un collettivo. La direzione è chiara. Brava non è l’album che tutti ricorderemo come un momento di rottura nel mondo del french touch. Ma sarà la riprova che a volte devi uscire dal coro per permettere al pubblico di accorgersi di te. Adesso però viene il secondo passo: saper fare un album elettronico con incursioni rap e non un album rap con delle buone basi elettroniche.