Testo di Matteo Zampollo
“I’m back”. Fine, tutti a casa. Esattamente venti anni fa, usciva la press release più essenziale della storia, quella in cui Michael Jordan annunciava il suo ritorno sul parquet, dopo una mediocre apparizione sui campi da baseball (mediocre, oddio, lo prendono in giro anche in Space Jam).
Ed era esattamente vent’anni fa.
Il giorno dopo, cioè il 19 marzo 1995, Jordan ne segna 19, prende sei rimbalzi e regala sei assist dopo 17 mesi di assenza dalla pallacanestro, contro gli Indiana Pacers. Non è la partita della vita, tira con il 25% dal campo, i suoi Bulls perdono anche, ma vabbè.
La cosa strana del suo ritorno è che per la prima volta Jordan vola senza il suo 23 sulle spalle. Infatti, in quell’anno e mezzo di assenza, a Chicago hanno già ritirato la sua maglia, come simbolo del rispetto infinito e del valore assoluto di Jordan, quindi per la stagione in corso il 23 non si può prendere. La scelta ricade sul 45, il numero che aveva quando giocava a baseball.
Poi, raggiunti i playoff, i suoi Bulls sono alla prima gara di una serie complicatissima contro i giovanissimi Orlando Magic, guidati da Nick Anderson, Penny Hardaway e il nostro Shaq. Il furbetto Anderson, stuzzicato su Jordan a cui aveva rubato una palla sul finale della partita, risponde che MJ era sì forte, ma che non è proprio quello con il 23. Il 45 gli ha levato il mantello di Superman. L’ha indebolito un pochino. L’anno e mezzo di stop dai campi, la morte del padre, una squadra che non era costruita su di lui, la pressione esterna. Basta mettere assieme tutti questi fattori per capire che His airness potrebbe avere qualche problema. Sì, qualche problema se non fosse lui.
Indovinate un po’ con che numero si presenta Michael la partita dopo? Si porta una maglia tutta sua, chissà presa da quale cassetto, mette il 23 e non lo dice a nessuno. Sul tabellone tutti cercano il 45, ma non c’è. C’è il Jordan versione superman. Ne infila 38. E sì, quel 23 forse gli serviva davvero.
La serie la perdono, ma l’anno dopo i Chicago Bulls portano a casa il titolo, vincono 72 partite su 82 in stagione, Jordan si prende la triple crown (Mvp della stagione, dei playoff e dell’All star game) e il team è forse la squadra più forte mai vista su un campo di basket.
Il 45 così resta una parentesi temporanea, ma che con il passare del tempo è diventata di culto. È il simbolo di un Jordan terreno, non dominante. Il 45 è il numero di Michael quando era uno come noi.
Proprio domani, quei geni di Mitchell & Ness celebrano i vent’anni del Jordan terreno rilasciando per la prima volta la sua maglia 45. Una super limited edition al costo di 300 euro. Pronti con i click, con i soldi sulla carta di credito, tenendo bene conto del fuso orario. Averla vuol dire apprezzare una leggenda anche nei momenti peggiori. Vuol dire amare uno sport anche nel momento peggiore del migliore di sempre. Vuol dire anche avere una scusa perfetta per quando i tiri non vogliono entrare al campetto. “Sai com’è, ho il 45”.