Generalmente non è che ami troppo le serie tv. Generalmente, quando la conversazione finisce su qualche serie e si comincia a parlare per 3×1 e 1×7, rimango subito fuori dall’hype perché odio, dannatamente odio, dover aspettare una settimana o anche solo un giorno per vedere cosa succederà nel prossimo episodio.
Con Empire il canone si è invertito decisamente e, vinte le iniziali diffidenze, anch’io sono ormai schiavo dei giorni di attesa tra una puntata e l’altra.
Empire è il nuovo musical drama prodotto da Fox, in onda in Italia attraverso Sky, che narra con occhio vivo la storia di una Label hip hop americana (l’Empire entertainment per l’appunto) e del suo fondatore Lucius Lyon (un bravissimo Terrence Howard).
La trama in sé è molto facile e lineare: Lucious Lyon è un self made man con un passato da pusher e rime gangsta ormai ripulito e che dopo qualche buon successo (sembra Jay-z) ha fondato una Label, ripulendo solo esternamente la facciata della sua vita e arrivando addirittura a intrattenersi in amichevoli colloqui telefonici con Mrs. PRESIDENT Barack Obama a cui rimbalza addirittura le cene alla White house. Lo stesso, dopo aver scoperto di essere un malato terminale, decide di scegliere il successore alla guida del suo impero, ormai prossimo alla quotazione in borsa, tra i suoi tre figli Andre, Jamal e Akiim.
Fino a qui tutto normale e anzi si potrebbe passare avanti. Invece no, perché la costruzione dei personaggi è eccezionale: Andre, il più grande dei tre, è un business man che ha sposato una moglie wasp e soffre di bipolarismo. Jamal è l’omosessuale che si ritrova a dover fare i conti la cultura maschilista e omofoba dell’hip hop (sembra Frank Ocean?) e canta e compone un r’n’b che strizza l’occhio alle caffetterie hipster di New york nelle quali si esibisce. Akiim invece è il classico rapper alla Gucci mane (ma potreste aggiungere un nome a caso), magari quello con più bling bling ma con un talento pazzesco, che fa il toy boy di una splendida cougar: Naomi Campbell (giuro sono saltato sulla sedia).
Fino a qui ancora si potrebbe passare avanti e buttarsi su Lillyhammer ad esempio. Invece no, perché il carico da 90 è subito dietro l’angolo. Infatti, a rovinare piani e mano del boss ci pensa l’ex moglie cookie (sembra Lil kim?) pusher uscita di prigione che al tempo aveva fondato con Lucius l’empire mettendoci 400.000 dollari provenienti da traffici illeciti e che, uscita da gabbio per buona condotta dopo un 17 su 30 scontato, torna a rivendicare ciò che, di fatto, gli appartiene. Da questo momento in poi davvero diventa difficile cambiare canale, le nevrosi e i contrasti di questa famiglia hip hop prendono il sopravvento con un ritmo a tamburo battente, l’esasperazione con cui viene illustrata la hip hop life è una presa sicura e instancabile, il contorno di violenza, party, liti, scazzi e dialoghi non edulcorati si susseguono a ritmo forsennato. Se ancora manca un pizzico di convinzione a mettersi lì e attendere di settimana in settimana l’evolversi della situazione, bene questa arriva con la musica. Il collante al tutto è marchiato Timbaland, non un nome qualunque, Timbaland! E si sente da subito in maniera netta, per cui non ci si stupisce se le canzoni della fiction entrano in testa già dopo un distratto ascolto durante l’episodio, sono perfette e pennellate su ognuno degli attori che giocoforza sono anche splendidi interpreti .
Non passate più la mano eh? Benissimo e non importa se ogni tanto inquadrature e primi piani siano molto telenovelizzati alla “Rodrigo y Carmela” (c’è una componente hip hop latino americana fortissima da conquistare e con cui fare audience) ancora meno se il tutto è davvero stereotipato e suona come abbiamo immaginato dovesse suonare sempre. La serie avvince e i 42 minuti di ogni episodio passano troppo in fretta. Promossa a pieni voti e sì, lo ammetto, nel lettore ho le canzoni della serie. Ecco, nel caso desideriate offrire una chance a questo botto d’inizio 2015 potete partire da qui, dalle canzoni.