Che fatica essere veneziano. È la prima cosa che ho pensato quando misi piede a Venezia che ero ancora un ragazzino. Che cazzo di fatica essere veneziano. È la cosa che penso sempre quando vedo Massimo Cacciari da Lilly Gruber. Che infame cazzo di fatica essere veneziano. È un pensiero fisso che mi tormenta per ore ed ore ed ore dopo che vedo Massimo Cacciari in tv. Ma che mica possono essere tutti come Massimo Cacciari i veneziani. Mica possono sbuffare a ogni cristo di domanda i veneziani. No che non è così. Infatti, una delle tante sere di ritorno dal lavoro – anche esso infame come Cacciari -, decisi di accendere l’altrettanto infame televisione e girai sulla meno infame cosa disponibile in quell’infame e convenzionale palinsesto serale.
E come al solito Massimo Cacciari era lì, a sbuffare, a dire che c’è bisogno di un ricambio generazionale, politico, culturale. Ci percepisce come degli idioti, lui sta perdendo tempo a stare lì seduto a raccontarci come bisogna essere, cosa bisogna fare. Sbuffa, è insofferenze, vuol far credere al pubblico che lì proprio no, non ci vuole stare e invece è proprio il prezzo che deve pagare per il suo misero e infame successo televisivo. Mi chiama una mia amica, mi dice “hai visto Cacciari in tv? Quando vedo Cacciari ti penso sempre. Per fortuna che Venezia non produce solo barba che sbuffa, c’ha anche delle cose belle, Venezia“. “Tipo?” “Tipo Yakamoto Kotzuga“. Sbufferà anche lui ho pensato. Dirà che c’è bisogno di un partito nuovo, che raccolga le istanze dei poveri cristi. Invece non sbuffa e non ci parla di partiti nuovi, Yakamoto Kotzuga è il motivo per cui visto scrivendo questa cosa, che poteva sembrare un post su Massimo Cacciari invece è un post su Giacomo Mazzucato, in arte Yakamoto Kotzuga – appunto.
A differenza di Cacciari, il produttore e musicista veneziano, non se ne sta lì con le mani in tasca a non fare un cazzo, anzi. Esordisce nel 2013 con un Ep “Rooms of Emptiness” (Panda Records) molto apprezzato da quelli che ne capiscono. Dopo una serie di cose fiche (su tutte “All These Things I Used To Have” video e pezzo), collaborazioni e produzioni (vedi Ghemon e Mecna) esce finalmente con un debut album: “Usually Nowhere” (Tempesta dischi). Una via di fuga dal mondo reale dominato da milioni di Massimo Cacciari, un disco che raccogliere le pulsioni più dark dell’animo tra rumori ambientali, glitch e correnti ritmiche dub. Undici intime tracce legate insieme da una triste melodia costruita e decostruita meccanicamente. Quando ho ascoltato per la prima volta questo album ci ho trovato dentro molte cose. Vi potrei dire Mogwai, Fly Pan Am, Autechre, Plaid, Boards of Canada. Ma non ve li dico perché potrei sembrare blasfemo e non rendere il necessario merito ad un album che gira e rigira alla fine ti seduce, senza sesso, senza imprevisti, ma ti seduce.
Yakamoto è un ventenne che guarda la solitudine senza preconcetti e attraverso questo lavoro ci racconta una storia ispirata da un’ossessionante melodia notturna (“Night Rider”), da vibes mistiche (“Hermit”) e da pastiglie malinconiche (“Futile”). “The Awareness Of Being Temporary” è la più bella canzone delle 11, in my opinion. La texture del beat è perfetta e si adatta perfettamente alla melodia. Il beat elettronico di “Usually Nowhere”, contaminato da glitch liquidi e linee di basso techno, ci regala la cifra di questo lavoro brillante, scuro e alla fine ben fatto. Il talento c’è tutto, ormai a parlare sono le stesse produzioni. Dobbiamo solo dare fiducia a questo ragazzo nato nel 1994, dobbiamo capire i suoi disagi (vedi la scelta del nome) e lasciargli coltivare il suo inconsapevole, fiducioso rapporto con la malinconia. Seguiranno altre cose belle, più mature. Al netto di tutti i cazzo di Massimo Cacciari della laguna. Daje Giacomo.