Nel suo ultimo libro, “A pesca nella pozze più profonde”, Paolo Cognetti cita Julio Cortazar, paragonando un racconto ad una fotografia. In particolare, si legge: “un buon racconto dovrebbe ritagliare un frammento della realtà, fissandogli determinati limiti, ma in modo tale che quel ritaglio agisca come un’esplosione che apra su una realtà molto più ampia”.
Nulla, meglio di queste parole, riesce a descrivere meglio la fotografia che vedete all’inizio di questo post. La foto del terzo compleanno di Vincenzo Martinelli, da Arzano, a due passi da Napoli.
Vincenzo poi è cresciuto, è diventato grande e ha cominciato a fare musica. È cambiato tutto ascoltando Jay Dee, J Dilla changed my life, dicono in tanti, chissà in quanti quella sensazione l’avranno provata per davvero. Chissà quanti, per davvero, si siano ritrovati come Dilla, in un letto d’ospedale a pensare prima alla musica che alla propria vita. Come se le due cose non si fossero sovrapposte già abbastanza.
Vincenzo cresce ancora, diventa Odeeno “un simpatico, e affettuoso, nick che mi ha dato la mia ragazza. Cercavamo un moniker sotto il quale rilasciare le prime cose e siccome l’occhio di Odino vede oltre le cose, lei ha pensato (dato che sono anche miope) che anche io, quando parlo dei beat e come se andassi oltre. Le due E sono arrivate poi”. Poi incontra i Beat Soup, dopo ancora finisce su DRITTE. La semplicità di Odeeno nel raccontarsi è disarmante. Non ha tabù, non ha particolari reticenze, e quando parla l’unica cosa che pare gli interessi davvero è la musica.
Durante le vacanze pasquali ci siamo sentiti, e mi ha raccontato d’aver passato la pasquetta su una collina tra Lazio e Campania, dove ci sono delle casse che sembrano quasi fogne. Ma da lì dentro ci esce della musica. Quando la parola “musica” si inserisce nel discorso Odeeno cambia, diventa logorroico e d’un tratto la sua vita assume altri tratti.
Quelli del racconto, di se e di chi gli sta intorno. Quelli dei suoi tape (“non sono album, però secondo me manco EP. Chiamiamoli tape”), che come Cortazar brillantemente suggeriva, ci danno l’input, il framework della storia. Raccontarla tutta significherebbe scrivere un romanzo. Così come un album. Quindi sì, quelli di Odeeno sono dei tape, perché tanto lasciano ad intendere che ci sia dietro.
L’ultimo suo lavoro in ordine temporale (“ma ho centinaia di beat a terra – formidabile espressione che viene dal napoletano, cioè pronti”) si chiama My.Fem.prt.2, e rappresenta il seguito del primo tape che porta quel nome e che racconta, manco a dirlo, della sua famiglia.
14 tracce, dentro le quali sono sparsi diversi indizi, che se raccolti e ben interpretati portano ad una soluzione. A partire dal titolo completo, che vuole la scritta Aunt (zia) tra due parentesi quadre, lascito del modo di fare dei beatmakers come Knxwledge, attualmente la sua prima fonte di ispirazione.
Un disco di ricordi, di rimpianti, di sorrisi e di cicatrici in comune. Un disco caldo, sentito, triste ed emozionante. Con quei suoni destrutturati, mai banali, anzi complessi.
Odeeno si avvia alla maturità artistica, lo fa lasciandosi indietro qualcosa che oramai ha sconfitto, pagando tributo a chi di dovere. Lo fa con i suoi strumenti, con le sue macchine, il suo, inconfondibile, stile.
Lo fa con questo tape che noi, dopo l’annuncio una settimana fa, siamo felici di farvi ascoltare in anteprima.