Bomba Dischi ha da poco dato in ristampa i primi due album dei Jennifer Gentle: “I Am You Are” e “Funny Creatures Lane” che a inizio duemila precedono il decollo di “Valende”, dei tour americani e delle collaborazioni importanti (da Makoto Kawabata al progetto Universal Daughters). Questa ripubblicazione ci ha fatto venir voglia di scoprire il background musicale dei JG, di scavare tra i vinili delle loro cantine e fare qualche passo indietro (ben oltre i duemila).
A collezionare dischi e metterci le cuffie è Marco Fasolo, frontman dei Jennifer Gentle.
Il mio album preferito del gruppo che forse ho ascoltato di più quando ero ragazzo. Monumentale, epico ma a tratti anche straordinariamente lieve e divertito. Difficile trovare un disco dove convivono felicemente momenti super heavy (“Ogre battle”), bizzarrie pop (“The fairy-feller’s master stroke”) e omaggi a Phil Spector (“Funny how love is”). Imprescindibile.
13th Floor Elevators – The Psychedelic Sounds of the 13th Floor Elevators
Gli Elevators, insieme ai Velvet e ai Creedence Clearwater Revival, sono stati tra i pochi che ancora in pieni anni Sessanta suonavano con una visceralità che rimandava ai più autentici anni Cinquanta. Il loro era un miscuglio inaudito di rock ‘n’ roll e misticismo, come se Chuck Berry avesse scoperto Sai Baba, il sufismo e l’LSD. Naturalmente è finita malissimo.
Il lato oscuro del 1967. Splendide canzoni pop e arrangiamenti orchestrali, ma della spensieratezza flower power di “Sgt. Pepper’s” non c’è l’ombra. Piuttosto “Forever Changes” è una chiaroveggente premonizione di cosa sarebbe accaduto di lì a poco, quando l’idealismo hippie sarebbe sprofondato in un baratro di paranoia ed eroina. Un disco struggente e terribile.
David Bowie – The Rise and Fall of Ziggy Stardust
Credo che praticamente tutti i dischi del Bowie anni 70 siano (ciascuno a modo suo) essenziali, ma Ziggy Stardust è stato ovviamente qualcosa di più che un semplice album. Canzoni enormi, indifferentemente eredi di Brel o anticipatrici del punk, più Five Years (che abbiamo coverizzato nel disco delle Universal Daughters con l’aiuto di Ed Harcourt). Avrei potuto scegliere anche “Station to Station” (Bowie porta il soul in sala chirurgica e lo disseziona con scrupolo sadico da anatomopatologo) o “Low”, ma davvero il Bowie di quel decennio era in stato di grazia.
Captain Beefheart – Shiny Beast
Insieme a Sun Ra il più grande spacciatore di musica marziana mai apparso sul pianeta. Impossibile scegliere un disco preferito, alla fine sono andato per “Shiny Beast” perché oltre a grandi momenti alla “Trout Mask Replica”, contiene anche qualcuna di quelle meravigliose canzoni pop che Captain Beefheart sapeva scrivere quando gli veniva il ghiribizzo.
Nancy Sinatra & Lee Hazlewood – Nancy & Lee
Spesso imitato, ma mai davvero eguagliato nella sua cristallina semplicità, questo album è una raccolta di duetti. Ogni canzone funziona come un piccolo film, i cui protagonisti sono l’ingenua e virginale Nancy contrapposta al baritonale Lee, cowboy che ne ha viste di tutti i colori. Soprattutto, c’è “Some velvet morning” che è tuttora un brano di audacia (lirica e musicale) insuperata.
The Poppy Family – A Good Thing Lost
Terry Jacks ha venduto milioni di copie con la sua versione di “Seasons in the sun”, ma prima di ruminare da solista sulla morte e la brevità dell’esistenza umana, faceva la stessa cosa in un gruppo chiamato The Poppy Family. Immaginate un incrocio tra i Carpenters e la Partridge Family: melodie accattivanti, facili e immediate a metà tra l’easy listening e la musica da ascensore, una produzione liscia e immacolata, con testi che però si occupano di perdita, morte, catastrofismo ambientale e ancora morte. “A Good Thing Lost” (sempre ottimisti) è una raccolta dei loro migliori momenti depressi/ depressivi e uno dei dischi più inquietanti che abbia mai ascoltato.
Bruce Springsteen mi è diventato più simpatico quando ho saputo che è un grande fan dei Suicide. Questo disco è davvero oltre ogni possibile descrizione: buio, soffocante, notturno, una specie di buco nero che attrae e repelle allo stesso tempo. Con le Universal Daughters ho avuto la fortuna di collaborare con Alan Vega, la voce, insieme a Lou Reed, della New York anni Settanta e il miglior cantante di rock ‘n’ roll dopo Elvis (lo dice Springsteen, non io).
Various Artists – Easy girls vol. 1
E’ una compilation e quindi inserirla in questa lista è un po’ barare, ma è anche uno dei pochi modi per essere introdotti nel magico mondo dei girl groups dei primi anni Sessanta. “Easy Girls” è una serie di raccolte pubblicate dalla Ace Records. Tutti i volumi sono belli ma ho scelto il primo perché contiene una perla come “Angel baby” di Rosie & the Originals. Il repertorio lirico è quello delle produzioni di Spector e delle Shangri Las (ragazzi ribelli, cuori infranti e l’occasionale tragico incidente automobilistico), la veste musicale è puro pop americano, tutto zucchero filato, chewing gum e cherry cola.
Cramps – Songs the Lord Taught Us
Personalmente sono un enorme fan della musica anni Cinquanta: pop, country, rockabilly, scegliete voi, ma c’è sempre qualcosa di assolutamente innocente in questa musica. Non ci sono, però, veri grandi album, almeno non nel senso che si è dato a questo termine dalla fine dei Sessanta. I Cramps hanno in qualche modo colmato questo vuoto: prodotto da Alex Chilton dei Big Star, “Songs the Lord Taught Us” non rivisita gli anni Cinquanta, è uno zombie che ne rivive la parte più oscura e malata (Link Wray, Johnny Burnette Trio, Hasil Adkins). Crudo, visionario, maniacale, in una parola bellissimo – e c’è la più spettrale e notturna versione di “Fever” di sempre.