Ogni volta che penso all’Italia, in particolare a come l’istituzione-Italia recepisce la musica elettronica, mi viene in mente Ibiza. Appena arrivato nell’ “isola” mi sono ritrovato a parlare con un tassista – sono sempre le prime persone che incontri in terra straniera. Ricordo d’esser rimasto colpito dall’enorme quantità di giganteschi cartelloni pubblicitari che ti ricordavano che, da lì a due, tre giorni, avresti speso circa 60 euro solo per metter piede nel locale. Più tutti i taxi che la gente, ragazzi come noi, utilizza per spostarsi. Più tutti i bar dove andar’ a bere prima di entrare. Più tutti i “paninari” delle sei del mattino. Insomma, un business enorme.
Il tassista, dicevamo. Non ricordo il nome, ma gli domandai (in maniera abbastanza stupida) se tutto quel carnevale non desse fastidio a loro, quelli che nell’isola c’erano nati e cresciuti. “Scherzi” rispose “senza il turismo musicale quest’isola sarebbe morta, e noi emigrati chissà dove“. Già.
Senza voler per forza replicare il modello-Ibiza in Italia, è certamente svilente notare come, fare musica in Italia, o permettere ai musicisti di esibirsi, stia diventando un’impresa semi-impossibile. E questo a fronte di una “scena” (pardon) che sta diventando sempre più promettente, che sta richiamando consensi e interessi anche dall’estero.
Organizzare un festival in Italia non deve essere facile, ma nonostante questo i festival ci sono, anzi, in certe situazioni aumentano, per una caratteristica tutta italiana di riuscire a far le cose, nonostante tutto. Il “nonostante tutto” però, è il problema più grande, perché esogeno al sistema musica, e quindi non controllabile direttamente.
Uno dei festival che, “nonostante tutto”, si è imposto a livello nazionale è quello della Capitale: lo Spring Attitude, che tra poco meno di un mese riaprirà la sue porte, dopo aver già inaugurato l’anno lo scorso venerdì con gli M+A, Thegiornalisti e Jolly Mare (oltre che i padroni di casa, i fratelli Esu). Guarda un po’, tutti italiani.
Ho incontrato Andrea Esu, uno dei suoi fondatori, per cercare di capire quanto sia effettivamente complicato il suo lavoro, ma anche bello, ricco di soddisfazioni e di amore per quello che si fa.
Credo sia (quasi) scientificamente provato che in Italia, il miglior modo per cominciare una conversazione sia parlando di calcio. Te sei tifosissimo della Fiorentina, vero? Come mai?
Si sono tifosissimo della Viola, da quando ero bambino.
In casa mio papà tifava per la Fiorentina e di conseguenza sia io che mio fratello ci siamo affezionati e in tutti questi anni l’amore non ha fatto altro che aumentare. Insomma, nel calcio ho adottato la politica del “mai una gioia”.
Cosa spinge un “normale” appassionato di musica (se non sbaglio a 360 gradi) ad immergersi nell’organizzazione di eventi?
Principalmente l’ambizione di fare qualcosa di importante che lasci il segno in qualche modo sulla gente, la volontà di crearti degli spazi, la voglia di fare della tua principale passione un lavoro vero e proprio.
Quand’è stata la prima volta che hai davvero capito di essere in grado di organizzare un festival come lo S/A?
C’è stato un momento in cui le cose stavano ristagnando, L-Ektrica era arrivata al traguardo dei 10 anni, tutto iniziava a ripetersi in maniera monotona e gli stimoli iniziavano a scarseggiare. Penso che ognuno nella propria carriera lavorativa, in qualsiasi campo, debba puntare al meglio, a crescere, a provare nuove emozioni.
Passare da un party settimanale ad eventi più importanti e da eventi più importanti ad un vero e proprio festival è fisiologico, fa parte di un percorso di crescita che definirei naturale. Poi io ho sempre sognato di fare un Festival, anche durante i primi di L-Ektrica pensavo che prima o poi ci avremmo provato.
Quanto è difficile conciliare i propri gusti in fatto di artisti, con le esigenze di line-up che un grande show si porta dietro?
Se un festival ambisce a fare dei numeri importanti come nel caso di S/A ci sono delle dinamiche che bisogna conoscere. I gusti del pubblico non possono essere ignorati ma allo stesso tempo è importante dare un tocco personale alle scelte in modo da creare un evento che abbia delle peculiarità e un identità precisa. È un gioco di equilibri tra quello che piace a te e quello che sai che possa piacere anche a un numero consistente di persone. Sia chiaro però, non c’è un artista che non mi piaccia tra gli artisti che propongo ad S/A.
Ricollegandoci a quanto detto sopra, hai mai rinunciato (mettici anche tutti i party L-Ektrika) ad un artista, per paura che fosse mal recepito dal pubblico?
Diciamo che mi è capitato di non chiudere degli artisti che costavano troppi soldi e che pensavo non potessero funzionare tanto da ripagare l’investimento.
Ogni festival ha una sua indentità ben precisa. Anche quella dello S/A è molto riconoscibile, ed è fatta di un nocciolo duro, in fatto di “genere musicale”, a cui si accompagna una sperimentazione che cambia di volta in volta. Il tutto mantenendo una patina di eleganza – e forse c’entra Roma – che altri non riescono ad avere.
Come si sceglie l’indirizzo di un festival? Soprattutto, è una cosa che si forma nel tempo o che viene decisa a monte?
Grazie, la tua descrizione mi fa molto piacere. Perché è proprio quello che stiamo cercando di fare, un festival elegante. Anche io penso che nel corso di questi pochi anni di vita S/A sia riuscito a sviluppare un’ identità che lo contraddistingua, magari non negli headliner, ma sicuramente nella seconda fascia di nomi che poi e’ quella che a me intriga di più, dove si è più “liberi” nella scelta. Obbligatoriamente gli headliner devono essere nomi importanti, conosciuti dal grande pubblico, e purtroppo nel genere elettronico “alternativo” in cui si muove S/A non e’ che ce ne siano a tonnellate di artisti con questo profilo. Il 70% del pubblico viene al festival grazie agli headliner ma poi trova e scopre tanti altri artisti eccezionali e se ne innamora. Questo e’ quello che fanno e devono fare i Festival. S/A ha deciso a monte di non dare grande spazio a tutto il filone techno o tech house di grande fama internazionale: Villalobos, Sven Vath, Hawtin, Nina Kraviz, Dixon, Ellen Allien, Marcell Dettmann, Ben Klock etc etc non suonano allo S/A perché abbiamo sempre preferito dare spazio al altri generi e a chi durante l’anno si vede poco o per niente in Italia e a Roma. Una scelta che taglia fuori una grandissima fetta di potenziali clienti.
Si è sentita, in giro per la rete, qualche critica circa alcuni nomi presenti in line-up, rei di essere troppo presenti in troppi festival italiani. Hai letto/sentito nulla? Che idea ti sei fatto?
No, non ho letto nulla ma sarei curioso di leggere. Come ti dicevo prima, se parliamo di act elettronici i nomi di prima fascia non e’ che siano tantissimi quindi penso sia normale che alcuni girino piu’ festival in Italia (se la vogliamo dire tutta, molti si fanno tutti i Festival d’Europa in un’estate). Io ti saprei già dire quali saranno i 4/5 nomi headliner che faranno la prossima stagione di festival italiani, perché tanto gira che ti rigira i nomi sono quelli.
Facciamo questo gioco? Jamie XX, James Blake, Nicolas Jaar, Bonobo (tra l’altro a questi 4 sono state fatte offerte per S/A 2015 non andate in porto) Caribou, Jon Hopkins…poi vediamo quanti ne ho presi. Ribadisco che la pecularietà di un Festival si vede nei nomi di seconda fascia e ad S/A ci sono tante cose che non si vedono in giro in altri Festival. E poi quest’anno ad S/A ci sono delle venue pazzesche come il MAXXI o il Macro di Testaccio e grazie alla curatela della nostra collaboratrice Caterina Tomeo una parte di programma con artisti a metà tra arte e musica come Robert Henke, Edwin Van Der Heide e i Quiet Ensemble; insomma tante novità, c’e’ poco da lamentarsi.
L’artista che mi suscita più curosità quest’anno è Romare, sono stato letteralmente rapito dal suo disco. Tu chi è che proprio non vedi l’ora di ascoltare?
Romare è un grande e ha fatto un disco di altissimo livello. Io non vedo l’ora di vedere la performance laser di Edwin Van Der Heide al MAXXI, sono sicuro che sarà qualcosa di veramente speciale. E poi lo show di Siriusmodeselektor che comunque è un’anteprima mondiale e sarà di grande impatto. Shigeto che ogni volta mi fa emozionare, Baths, Kelela, Yakamoto che ha fatto un album strepitoso e tutti gli altri italiani che quest’anno solo volutamente tanti.
Nella line-up di quest’anno c’è, come dicevi, un bel gruppo di nomi italiani appartenenti (quasi) alla stessa matrice pur se non alla stessa generazione. Tre di questi (Popolous, Godblesscomputers e Yakamoto) li ho intervistati su queste pagine, assimilandoli ad una scena che di elettronica intelligente. Come mia questa scelta?
Appunto, bello vero? È fantastico che ci siano così tanti italiani, gente che ha talento da vendere tanto quanto i nomoni stranieri. È stata una scelta precisa, una politica iniziata già la scorsa edizione. Perché? Perché’ è giusto che un festival italiano dia spazio ad artisti italiani, a maggior ragione ora che nella musica elettronica non sono inferiori a nessuno. Penso che quest’anno ad S/A ci sia veramente il meglio della scena.
Vedrete che spaccheranno!
Qual è la maggior differenza, in termini di “linea editoriale” tra i party L-Ektrica e lo S/A?
L-Ektrica e’ un party che privilegia l’aspetto dance, che sia house, techno o disco e che propone prevalentemente djs. S/A tende a proporre invece l’elettronica più solare e colorata prevalentemente in forma liv. S/A e’ un festival Pop o comunque vuole esserlo il più possibile.
Quanto è difficile riuscire a fare un festival del genere in Italia?
Sta diventando impossibile, non ci sono finanziamenti, gli sponsor sono sempre meno interessati al prodotto che proponiamo, le location difficili da trovare. S/A è di fatto un festival che si autofinanzia con la sola vendita dei biglietti. Ogni anno dopo qualche mese che ci lavoriamo ci ripetiamo “Ma chi ce lo fa fare?”. Poi per fortuna arrivano i giorni del Festival, il pubblico bellissimo, i sorrisi, il sole, l’adrenalina e l’emozione, la gente che ti ferma e ti ringrazia per quello che stai facendo. Tutto questo ti da la forza per continuare a crescere.
Tutti, credo, cominciano seguendo un modello, e prefiggendosi un obiettivo. Il tuo qual è stato e, di conseguenza, qual è?
Noi siamo cresciuti nella città dove per tanti anni c’è stato il più importante Festival italiano. Dissonanze è stato un modello per tutti, lo abbiamo vissuto e frequentato in quasi tutte le sue edizioni. E poi personalmente sono un frequentatore del Primavera Sound di Barcellona che è il mio Festival preferito; si quello è il modello che inseguo, purtroppo al momento è un’ utopia pensare di fare una cosa del genere in Italia.