Ha le stesse mani di sua nonna, Earl Sweatshirt, non riesce a guardarsele. La nostalgia lo annebbia, è vera e propria paura dei giorni che scorrono.
Fresco di un album a pseudo-sorpresa, il ‘giovane più vecchio nell’intera stanza’ è tornato con un nuovo lavoro.
Solace è un progetto di dieci minuti, un collage di brani, da samples filtrati a strofe morbose e tortuose, tutto dedicato alla madre, che lo mandò in college a Samoa, scatenando #FreeEarl e tutto il resto, e che lui rimpiange di aver deluso così spesso. Questo sfogo rigorosamente DIY di Earl emana autenticità: è uno degli MC più rispettati al mondo a ventun anni appena, riesce a mescolare e riordinare pensieri e sillabe con la sua tipica scioltezza imperturbabile, nonostante le sensazioni qui siano ancora più crude e immediate del solito.
L’ultima strofa è una sorta di confessionale, in cui la sequenza di ‘a dir la verità’ serve a descrivere diagnosi e prognosi di un’anima in frantumi.
‘Risale a quando ho toccato il fondo, e ci ho trovato qualcosa’, ha spiegato.
Ci si rassegna, si ipotizza che i fiori appassiranno per sempre, finché a forza di tenere la porta aperta al tempo e guardarlo immobili, succede che la primavera arriva davvero.
E pensandoci con i polsi che tremano, quasi ci si dimentica di chi era lì, a donarci uno sguardo e indicarci il sole, il supremo sol~lievo.