La passione di Francesco Briganti per l’illustrazione l’ho scoperta tardi, nonostante lo conosca da un po’ come VJ. Ho sempre pensato che fosse un appassionato di diavolerie elettroniche, video mapping e proiezioni, ma in realtà nasconde un’anima fatta di china e cartoncino che non aveva mai rivelato. Da una chiacchierata informale ad un’intervista su Passaporto il passo è stato breve. Bentornati.
Le tue illustrazioni sembrano non finite, lasciate a metà in attesa di prosecuzione. Hanno quella spontaneità che mi ricorda i diari di scuola.
Dipende un po’ dalla destinazione, ma per quelle personali confermo! Difficilmente riprendo illustrazioni iniziate. Spesso disegno cercando di cogliere a pieno un momento in cui mi sento ispirato o in cui ho un po’ di tempo per stare sul foglio, per questo quasi sempre nascono e muoiono in maniera molto spontanea.
La china colorata non fa per te?
Cromofobia pura. Se devo la uso, ma sono innamorato del bianco e nero.
Non sono un po’ passati di moda i tatuaggi tribali a cui ti ispiri?
Hahaha sicuramente! Sinceramente non è una scelta, anzi, forse è più un caso e si denota maggiormente in lavori di diversi anni fa. Giuro che ho smesso.
Avere uno stile definito credi che sia un limite o un marchio di riconoscimento?
Entrambi, credo che ognuno abbia le proprie linee guida, ma non devono diventare una gabbia a sfavore della sperimentazione. Evolvere il proprio stile e il proprio modo di lavorare è l’unico modo per migliorare e soprattutto per non annoiarsi del proprio lavoro. Io per primo dovrei sicuramente staccarmi a favore di nuovi stimoli. La riconoscibilità è più una conseguenza, non un obiettivo.
Ci mandi una fotografia della scrivania su cui stai lavorando in questo momento?
Sei uscito da poco dall’università e ti stai facendo strada più come vj che come illustratore. Scelta o casualità del destino?
Forse più casualità. È stato un intreccio di eventi, sicuramente alimentati dal mio lato nerd, e dalla richiesta lavorativa di video installazioni ed animazioni più massiccia rispetto all’illustrazione. In primis sono (come tu ben sai) un degno frequentatore di feste, e ho sempre ammirato la presenza di visual a sostegno della parte audio. Dal 2013 è iniziato il mio percorso nel mondo delle video installazioni, dal vjing al video mapping, che mi ha portato a collaborare con con varie realtà milanesi di tutto rispetto come Le Cannibale. In più ho approcciato la Motion Graphic che a oggi mi dà molto lavoro… Finalmente di giorno!
Non mi pento di questa direzione che mi stimola tantissimo, ma effettivamente ha portato via molto tempo al disegno e spero di riuscire a portare avanti entrambe le cose, o ancora meglio a mixarle.
A proposito della figura del vj. Negli ultimi tempi è tornata ad essere fondamentale nei club, pena quella sensazione di incompletezza che penalizzerebbe la fruizione complessiva dello spettacolo. In realtà esiste almeno dagli anni ‘70… Hai dei punti di riferimento?
Non ho molti riferimenti “datati”, anche perché gli approcci sono infiniti e l’evoluzione tecnologica influisce con l’avvento di nuovi software, strumentazioni, tecniche di proiezione. Guardo abbastanza al presente. Seguo molto la label francese Antivj e ultimamente ho apprezzato parecchio i live a/v di Evian Christ (curato da Emmanuel Biard) e Ryoji Ikeda (Tomonaga Tokuyama). Per rimanere su Milano consiglio i due collettivi: Recipient e Otolab.
Se dovessi aggiungere i credits alla tua vita finora, li daresti alla scuola o all’esperienza?
Esperienza tutta la vita. La scuola ti fa iniziare un percorso, ma in quanto tale lo valuto in base alle esperienze fatte.
È sempre valida l’immagine dell’artista spirito libero o lavorano di più le personalità che restituiscono affidabilità?
Credo che ognuna delle due figure trovi il suo spazio a seconda dell’esigenza, ma l’affidabilità è la prima cosa, i rapporti di lavoro si basano anche sulla fiducia.
Se ti dico Dance Like Shaquille O’Neal, cosa mi disegni?
Qualcosa di non finito… Lasciato a metà in attesa di prosecuzione!